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Campo di internamento di Cap Matifou

Campo di internamento di Cap Matifou
StatoAlgeria (bandiera) Algeria
CittàCap Matifou (Bordj El Bahri)
Informazioni generali
Tipocampo di prigionia
Inizio costruzione1945
Informazioni militari
OccupantiAlleati (militari inglesi)
voci di architetture militari presenti su Wikipedia

Il campo di internamento di Cap Matifou, conosciuto anche come campo 211 e inglese 211 POW camp, fu un campo di prigionia costruito dagli Alleati nei pressi del villaggio Rouïba, in Algeria.

Storia

L'8 giugno 1945, dopo un periodo di prigionia al campo 209 di Afragola e nel campo 'S' di Taranto, i prigionieri di guerra italiani, in gran parte della Repubblica Sociale Italiana e del Battaglione "Barbarigo", furono imbarcati sulla nave Duchess of Richmond, per essere trasferiti al campo di prigionia inglese in Algeria.[1] Oltre ai marò della Decima, furono trasferiti nel campo anche truppe d’occupazione italiana delle isole greche. Verso l'agosto 1945 fu trasferito nel campo il maresciallo Rodolfo Graziani.[2]

La vita nel campo

Struttura del campo

Il campo era diviso in compound. Nel primo di essi vi erano alloggiati gli ufficiali, nel secondo e terzo compound furono internati i prigionieri della Xª Flottiglia MAS, mentre in altri vi furono internati prigionieri italiani e tedeschi, e, infine, nell'ultimo di essi erano alloggiati i Cooperators, cioè quei prigionieri che avevano accettato di lavorare per gli Alleati.[2]

Inoltre, tra un compound e l’altro vi era un corridoio formato da due palizzate irte di filo spinato, sorvegliate incessantemente dalle sentinelle; coloro che oltrepassavano il corridoio, uccidevano il capo campo o vendevano un fazzoletto agli Arabi, venivano puniti con 28 giorni di calaboose, il compound prigione, sprovvisto di brandine, ma soltanto di un cartone ricavato da uno scatolone di cibo come materasso.[2]

Condizioni dei prigionieri

Una volta trasferiti nel campo, i prigionieri vi rimanevano per un periodo di tempo variabile di poche settimane a interi mesi, ed erano costretti a sopportare il freddo, calaboose e fame;[1] inoltre, erano frequenti epidemie di dissenteria e malattie di ogni genere.[1] Inoltre, i prigionieri erano costretti a trasportare grossi massi da una parte all’altra del recinto o a raccogliere frammenti di carta, sparpagliati per terra da una delle guardie.[2]

La razione di cibo del campo consisteva in un gamellino di acqua in cui era stato disciolto del latte condensato e un pagnottone a sezione quadrata, lungo una trentina di centimetri, di pane bianco, una scatoletta di marmellata, oppure di corned beef e, alla domenica, una scatola contenente dei salsicciotti a base vegetale, su cui era stampigliato Pork and Soya, posati su tavolette di legno.[2] A sera, infine, verso le 17, era distribuita ai prigionieri la minestra, consistente in acqua in cui erano disciolti cereali, accompagnati sempre da piccoli bruchi cotti; inoltre, i prigionieri bollivano l'erba vicino ai reticolati.[2]

L’incaricato del rancio grosso, detto l’affettatore, cambiava a rotazione ogni giorno, mentre, colui a cui era riservato il privilegio di leccare le briciole di pane e le tracce di grasso vegetale rimaste sulla tavoletta era detto il “Leccatore”.[2] Ogni prigioniero, inoltre, riceveva una zanzariera e due coperte, oltre a sigarette, datteri, pane e denaro, vendute dagli arabi in cambio di coperte e vestiti.[2]

Trasferimento dei prigionieri

Tuttavia, una volta liberati, il piroscafo che li avrebbe riportati in patria, lo Strathaird, li trasferì al campo 'S' per essere processati, nel caso avessero compiuto crimini di guerra; in caso contrario, essi erano assolti dalle accuse e poterono quindi tornare a casa.[1] Altri, invece, furono trasferiti in un campo in Puglia.[1]

Luigi Sitia, deportato nel campo algerino, scrisse nel suo libro Mettiti sull'attenti, carogna! che:

«[…] All’ingresso nel campo ci attendeva una brutta sorpresa: soldati inglesi dall’aria truculenta ci perquisirono, togliendoci ogni cosa personale: orologi, anelli, soldi e documenti, persino penne e matite…e finalmente venimmo cacciati in tende da otto, così almeno mi pare di ricordare. Il giorno dopo, a gruppi di una ventina, ci presentammo davanti alla baracca-comando del Campo e ricevemmo la dotazione personale: zanzariera, due coperte, divisa inglese con stampigliato a grosse lettere P.O.W. sul dorso della giacchetta e un foglio con nome e cognome, grado, data di nascita…»

Note

  1. ^ a b c d e Dina Turco, Storia di Taranto. Il campo Sant’Andrea: dal 13 febbraio al 13 aprile 1946 (PDF), su storiadelmondo.com, Storia del Mondo, 19 gennaio 2004. URL consultato il 5 agosto 2019.
  2. ^ a b c d e f g h Stitia Luigi POW - Testimonianza di un marinaio prigioniero in Algeria, su zonderwater.com, Zonderwater, 22 febbraio 2012. URL consultato il 5 agosto 2019.
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