Francesco Stelluti nacque a Fabriano il 29 gennaio 1577 da Bernardino e Lucrezia Corradini. In giovane età venne avviato agli studi giuridici, e a questo scopo fu mandato dalla sua famiglia a Roma, dove si dedicò anche agli studi letterari. A Roma, strinse amicizia con Federico Cesi, Anastasio De Filiis, e l'olandese Johannes van Heeck. Insieme fondarono, il 17 agosto 1603, l'Accademia dei Lincei. I quattro fondatori avevano tutti i loro emblemi e i loro nomi accademici: Federico Cesi, il Principe mecenate, si chiama Celivago o anche Sammario; Johannes van Heeck Illuminato o Monuro; Anastasio De Filiis Eclissato, e Francesco Stelluti Tardigrado.
Come i suoi compagni Stelluti subì persecuzioni da parte dei familiari di Federico Cesi, e dovette lasciare per alcuni anni Roma per ritirarsi prima a Fabriano, poi a Parma presso il duca Ranuccio I Farnese. Ritornato a Roma verso il 1609, Stelluti ebbe parte molto attiva nello sviluppo dell'Accademia. Nel 1612 ne fu eletto Procuratore Generale. L'anno successivo promosse l'apertura di una sezione dell'Accademia a Napoli, il Liceo, che affidò alla direzione di Giovanni Battista della Porta. Alla morte del Cesi (1630), Stelluti non riuscì a impedire la fine dell'Accademia. Riuscì soltanto completare e dare alle stampe nel 1651 il monumentale Tesoro messicano o Rerum medicarum Novae Hispaniae Thesaurus, illustrazione della flora e della fauna del Messico. Sopravvisse agli altri fondatori dell'Accademia e morì a Roma nel 1653, mentre era ospite nel palazzo del duca Paolo Sforza, marito di Olimpia Cesi, figlia del principe Federico.[1]
Fra le sue opere filosofiche ebbe una notevole diffusione negli ambienti scientifici il Logicae Physicae et Metaphysicae Brevissimum Compendium (1604). Collaborò con Federico Cesi al celebre Apiarium (Roma, 1625) la cui tavola («Melissographia»), di cm 26,2 x 36,7, disegnata da Francesco Fontana e incisa da Matteo Greuter su osservazioni dello Stelluti, rappresenta tre api ingrandite circa 20 volte e loro particolari più ingranditi: è la prima figurazione nota al mondo di oggetti microscopici.[2] Tale preziosa opera è estremamente rara: ne esistono solo due copie. Nel volume dello Stelluti Persio tradotto in verso sciolto e dichiarato (Roma, 1630), a p. 52 sono figurate le medesime api, con altri particolari; alle pp. 51 e 54 è riportata la «Descrizzione dell'ape»; dopo quella del Cesi è la prima descrizione di particolari naturalistici visti al microscopio.
La sua opera letteraria più importante fu la traduzione delle Satire di Persio in versi sciolti (Roma, 1630).
^Francesco Stelluti, su COMITATO NAZIONALE PER IL IV CENTENARIO DELLA FONDAZIONE DELLA ACCADEMIA DEI LINCEI, Accademia Nazionale dei Lincei. URL consultato il 5 maggio 2018.
Janus Plancus, Lyncaeorum notitia, in Fabii Columnae, ΦΥΤΟΒΑΣΑΝΟΣ, Firenze 1744;
Baldassare Odescalchi, Memorie istorico-critiche dell'Accademia dei Lincei, Roma 1806;
Domenico Carutti, Breve storia dell'Accademia dei Lincei, Roma 1883;
Romualdo Sassi, Francesco Stelluti da Fabriano, in Augustea, aprile 1935;
Autori vari, La Letteratura italiana, vol. 8, Edizione speciale per il Corriere della Sera, R.C.S. Quotidiani S.p.A., Milano 2005, p. 242; Titolo dell'opera originale: Natalino Sapegno ed Emilio Cecchi (diretta da), Storia della letteratura italiana, Garzanti Grandi opere, Milano 2001 e De Agostini Editore, Novara 2005.