Apparteneva al ramo bergamasco degli Osio (trasferitosi da Milano in seguito al predominio dei Visconti sui Torriani, fissarono la loro dimora a Monza, Vedano al Lambro e Biassono) le cui più antiche notizie risalgono al XII secolo: Bartolomeo, docente di diritto nell'università di Montpellier, nel 1316 annoverò Francesco Petrarca tra i suoi discenti.[1] Il padre Giovan Paolo era conte del feudo di Usmate, presso Monza, durante il dominio spagnolo, e risiedeva in un castello oggi non più esistente. Lui e il figlio Cesare (nato nel 1558) erano noti per le prepotenze perpetrate ai danni dei sottoposti. Acquistò, poi, un palazzo che confinava con il cortile del monastero di Santa Margherita in Monza. Giovan Paolo assassinò per ambizioni economiche il conte di Solbiate ed era sempre scortato da un gruppo di bravi; Cesare, invece, si rese connivente di un delitto consumato in una casa di appuntamenti maschili: riparò nella Repubblica di Venezia dove fu ucciso da un uomo che frequentava.[2]
Il giovane Gian Paolo, dunque, dovizioso proprietario terriero, era solito girare di notte con i suoi sgherri al fine di commettere atti illeciti. Nel 1597 assassinò Molteno, gabelliere dei de Leyva signori di Monza. Per evitare le conseguenze si assentò da Monza per un anno. Al suo ritorno la feudataria suor Virginia Maria de Leyva (al secolo Marianna), convinta dalla badessa Francesca Imbresaga (amica della madre di Osio), gli concesse la grazia dopo che l'aveva denunciato. Al che, l'uomo incominciò a corteggiare la monaca, aiutato da Paolo Arrigone, parroco della chiesa attinente al convento, fino ad avere una relazione con lei durata dieci anni. Dalla relazione nacque un figlio nato morto e, l'8 agosto 1604, una bambina, Alma Francesca Margherita, legittimata e affidata alle cure della madre di Gian Paolo, Sofia Bernareggi (di agiata casata milanese). Non si hanno altre notizie di lei.[3]
Per coprire la trasgressione, Osio si macchiò di diversi crimini e misfatti. Le vittime di Osio furono: Giuseppe Molteno (contabile di Virginia), la conversa Caterina Cassini da Meda che aveva scoperto la tresca [4], suor Benedetta Homati e il farmacista Rainerio Roncino (ucciso con un archibugio dal suo sicario Camillo detto il Rosso).[5]
Nel 1607, dopo il processo alla coppia, Osio venne condannato a morte per squartamento in contumacia. Nel frattempo, suor Virginia subì il processo e il 17 ottobre 1608 venne condannata alla reclusione[4]. Ricercato, si rifugiò a Milano presso il conte di Landriano Cesare II Taverna suo amico, ma questi lo tradì e lo fece uccidere a bastonate e a pugnalate, non senza prima avergli permesso di confessarsi, nei sotterranei del suo palazzo in corso Monforte (oggi Palazzo Isimbardi)[3], più che per incassare la taglia, che era stata offerta per la sua cattura, per opportunità politica.
Il corpo venne murato in una nicchia: la tradizione popolare narra che lo spettro di Gian Paolo vagherebbe nella cantina di Palazzo Isimbardi .[6][7]
Lo storico Giuseppe Ripamonti (1573-1643), cronista al servizio del cardinale Federico Borromeo, descrisse così Gian Paolo Osio nella sua Historia patriae: Ricco e ozioso, bruno, alto, snello, d'una eleganza innata, anche se qualche volta mal vestito e trascurato, dotato di quella specie di fascinoso prestigio che deve agli esercizi fisici, come la scherma, la danza e l'andare a cavallo.[8]
Osio nella letteratura e nel cinema
Nel romanzo I promessi sposi, opera di Alessandro Manzoni, Osio assume il nome di Egidio ed è l'amante della monaca di Monza, qui chiamata Gertrude.
Troncato inchiavato di azzurro e di argento - 3 stelle (8 raggi) poste 1,2 di oro sull'azzurro - gamba sinistra di argento calzata fin sopra il ginocchio di nero posta in scaglione caricato su rosso.