Figlio di braccianti, terminati gli studi elementari fu mandato dalla famiglia a Genova. Qui venne preso come apprendista presso un intagliatore. Cominciò l'attività artistica come intagliatore del legno, dando vita a un'intensa produzione di crocifissi (Acqui Terme, chiesa di San Francesco, Asti, Collegiata di San Secondo). Dopo un periodo a Casale Monferrato presso la bottega dei Bistolfi, si trasferì a Genova.
Contemporaneamente, frequentò nel 1859 i corsi di ornato e figura dell'Accademia Ligustica di Belle Arti. Rimase all'Accademia Ligustica di Belle Arti per quattro anni. Qui seguì i corsi serali di nudo di Santo Varni. Prevalse infine la sua inclinazione per la scultura.
I primi successi riscossi con soggetti tratti dal mondo infantile
Sposatosi giovanissimo e con figli, ebbe difficoltà a mantenere la famiglia, finché la sua fama di scultore non si ampliò improvvisamente dopo l'acquisto da parte del re del Württemberg di una sua opera, Bambini che giocano con il gatto.
Queste prime opere monteverdiane rientrano nel gusto aneddotico in auge in un particolare momento; vanno oltre tale dimensione il Colombo giovinetto - riprodotto in molte copie - e il Genio di Franklin, che esprimono al meglio il realismo dell'autore e l'intento di concretizzare l'idea positivistica di progresso e anche assumono artisticamente una novità di accento e invenzione, pur con le peculiari preoccupazioni di gusto dell'artista. Il tema del genio si associa a quello della tenera fanciullezza, esaudendo i sogni e i desideri della contemporanea cultura del secondo Ottocento. Fra le opere di questo periodo: I bambini che scherzano col gatto, del 1867 (marmo, cm 97x55x55, Genova, Palazzo Bianco); Il Colombo giovinetto, del 1870 (marmo, cm 146x55x64, Genova, Castello De Albertis, più altre copie); Il Genio di Franklin, del 1871 (bronzo e marmo, Museo del Cairo, più altre copie); L'Ingenuità, del 1872; Il putto che scherza col gallo, del 1875, modellato sull'esempio del Bambino col gallo di Adriano Cecioni, divenuto celebre dopo che nel 1869Diego Martelli aveva portato con sé a Parigi una foto del modello in gesso.
Il Colombo giovinetto
Il Colombo giovinetto lo conferma come rivelazione; il tema rimanda ai valori nazionali, è il navigatore genovese fanciullo del successivo sonetto di Carducci dedicato a Giuseppe Mazzini: "da quegli scogli onde Colombo infante / Nuovi pe'l mar vedea monti spuntare ...". Questo mentre Cecioni si ribellava a tali indirizzi nel sonetto Realismo: "Mentre Colombo, allor che giovinetto / langue sul mar che traversare agogna...". La borghesia si immedesimava nella ricerca dei germi dell'uomo di genio nell'infanzia, trovando in essa una sicurezza scientifica e razionale; Onorato Roux apriva il “Giornale dei Ragazzi” alla collaborazione di illustri italiani contemporanei che raccontassero episodi della loro fanciullezza in cui appariva in embrione il futuro genio. In Colombo è anche una forte suggestione romantica, una carica magnetica di seduzione nello sguardo vagante e nella posa sensuale del giovinetto (elementi portati ad altro effetto nell'Angelo della Morte della Tomba Oneto). Il dato realistico è reso dalla bitta con l'anello per l'attracco delle navi, misura della realtà concreta del porto genovese. Questi termini sono nella statua in marmo di Palazzo Giovanelli di Venezia come nelle più copie o nel gesso della Galleria d'Arte Moderna di Parma, dove la scultura fu medaglia d'oro all'Esposizione Italiana del 1870.
Il bambino Franklin appare seduto su un comignolo e avvinghiato all'asta del parafulmine; Angelo De Gubernatis notò come il fanciullo, simbolo delle Scienze, esprimesse un supremo sforzo di potenza schiacciando la folgore, costretta nella verga metallica che la porta sottoterra dove viene resa innocua. Il corpo del giovinetto come agitato da un impulso elettrico nelle contrazioni di volto e corpo, quindi ancora fanciullezza, tema del genio, sensualità e magnetismo, esaltazione del tipo umano dello scienziato euforica esaltazione della ricerca scientifica; e la stessa perfezione e immaginazione del Colombo.
Jenner inocula il vaccino del vaiolo al figlio
Aumenta il consenso attorno all'artista che nel 1873 scolpisce Jenner inocula il vaccino del vaiolo al figlio, dal quale riscuote il carisma di maestro. L'opera ebbe una critica travagliata al momento dell'invio in Austria, trovandosi scartata dalla giuria dell'Accademia di San Luca, incaricata dal governo di selezionare le opere da inviare all'Esposizione Universale (Internazionale) di Vienna. Il fatto era dovuto ai trascorsi contrasti del Monteverde appena giunto a Roma col Tenerani. Grazie all'onorevole genovese Castagnola, amico del Monteverde, la statua venne spedita a Vienna d'autorità, dove vinse la medaglia d'oro. Esercitò una forte emozione il dramma dello scienziato e padre, il timore per il danno al figlio in caso di errore; è il contrasto tra scienza e coscienza, tra diritto alla ricerca e morale. Come per le altre immagini monteverdiane vale l'efficacia diretta della forma, che colpisce contemporaneamente fantasia e sentimenti, del linguaggio realisticamente essenziale, con il contrasto fra il nudo guizzante del bambino ignaro e la concentrazione tesa del padre che ne sta incidendo le tenere carni. Ne furono eseguite copie, tra cui quella in marmo di proprietà civica a Genova (cm 127x113x97, Palazzo Bianco, poi a Genova Nervi, Civica Galleria d'Arte Moderna), e quella in bronzo della Galleria Nazionale.
Per il successo ottenuto il suo studio romano di via Flaminia fuori dalla Porta del Popolo, rimasto qui sino al 1876, si spostò in Piazza Indipendenza, divenendo meta di visitatori illustri e turisti, molte le turiste ammiratrici. De Gubernatis annota il fascino pittoresco emanato da Monteverde, per la statura aitante, la rossa barba, i grandi occhi azzurri, il costume cinquecentesco che era solito indossare durante il lavoro. In un autoritratto, riprodotto in marmo e bronzo, eseguito in tarda età, restano ancora tali: il volto solcato dalle rughe della vecchiaia ma con ancora la folta barba, i grandi mustacchi, l'aria autorevole, il berrettone rinascimentale.
Molte le sue opere, e tra quelle che riscossero immediata fama al suo tempo è da ricordare il primo Monumento a Mazzini, realizzato nel 1876 su richiesta degli emigranti di Buenos Aires, osteggiato dai Gesuiti e poi eseguito e inviato. La statua fu inviata dallo scultore, operante in Roma, a Genova dove veniva imbarcata alla volta di Buenos Aires. Grande fu in Genova il successo riscosso dalla statua per la somiglianza con l'appena defunto Esule. La statua, in marmo bianco, alta circa 3 metri, raffigura Mazzini che si alza dalla sedia per leggere alcuni fogli; si trova a Buenos Aires nella Piazza Roma. Monteverde eseguì ancora una copia di questa, in bronzo di minore dimensione con alcune piccole differenze, che si trova a Milano in Piazza della Repubblica, contornata da una scenografia scultorea di Cascella.
Dal 1890 Monteverde fece sue alcune suggestioni del simbolismo, soprattutto nelle opere funerarie destinate al cimitero monumentale di Staglieno. La tomba della famiglia Celle (cimitero di Staglieno), intitolata Dramma eterno, si fonda sulla contraddizione (simbolista) tra l'esuberante nudo femminile e lo scheletro macabro e raccolto nel sudario.
Giulio Monteverde morì quasi ottantenne il 3 ottobre 1917 a Roma. Fu sepolto nello storico cimitero del Verano a Roma, nella zona del Pincetto Nuovo, riquadro 28, presso la cappella di famiglia.[1]
Nella cappella, costruita in forma di un tempio aperto su tre lati, è stata collocata una replica realizzata dall'autore dell'Angelo di Monteverde.
Il realismo di Monteverde
In scultura, l'affermarsi della ricerca del dato realistico, in ordine alla più avanzata tendenza europea, viene a un certo punto a sfibrare la nitidezza della forma ereditata dall'epoca neoclassica. Si crea allora una forma sintetico-percettiva, in Italia portata avanti dal Grandi nel Cesare Beccaria (1871) e nel Paggio di Lara (1872), opere ancora collocabili entro un quadro storicista. E nella seconda metà del decennio questo nuovo senso della materia si accosta a una maggiore verità dei temi, ed è una ricerca che tocca anche artisti meno aperti alla sperimentazione quali D'Orsi e Monteverde.
Monteverde non entra nella ricerca d'avanguardia; ma pare indirizzarsi nella prima metà degli anni settanta verso ricerche ottico-percettive, non tanto nella statuaria in marmo, quanto nel bozzetto, fase che definisce un suo campo sperimentale, per la trasformazione con una materia rapida, non aneddotica, più attenta ai dati della luce che alla correttezza del disegno.
Qui Monteverde, esponente del Realismo borghese quanto a tematiche e linguaggio analitico, raggiunge una certa elasticità non priva di aspetti sintetici. Da considerare in ciò i bozzetti della tomba Balduino (1885 c., Genova Nervi, Civica Galleria d'Arte Moderna), dove l'artista elabora una tecnica di maggiore sintesi, andando oltre alla prassi bozzettistica inaugurata da Antonio Canova.
Monteverde utilizza talora nei bozzetti un modellato per sovrapposizione di materia, anziché l'usuale modo della sottrazione, così conferendo all'immagine un immediato riscontro dei dati plastici e del rapporto con la luce. Con una tecnica simile Grandi aveva creato la drammaticità e il verismo ottico-percettivo nel Tumulo Recente, nel Maresciallo Ney e nella Pleureuse. Al contrario Monteverde nel bozzetto Balduino con la tecnica dell'aggiunta crea masse che conservano il loro un corpo, che si innalzano leggere nello spazio e sinuose nei rigonfiamenti ma non perdono il limite corporale. La differenza sta nel fatto che Grandi dalle vesti spiegazzate del Beccaria arriva a sciogliere il volume, mentre Monteverde sotto le vesti spiegazzate fa sempre intendere una morbida carezza dei corpi.
Artisticamente valida la statua di Giuseppe Saracco, ultima opera dell'artista eseguita nel 1917 (muore ottantenne nello stesso anno) e inaugurata nel 1922. Il ritratto di Saracco, uomo politico nativo di Bistagno come Monteverde, di cui era amico, è risolto con un realismo semplice e diretto: in piedi, appoggiato allo scanno senatoriale, nell'atto di parlare (posa di successo del Mazzini del 1876 appoggiato alla sedia). La composizione della figura è fondata sull'abbozzo di movimento: testa leggermente sollevata e girata a sinistra; busto con un'appena accennata torsione a destra, movimento non pesante ma tale da imprimere a tutta la figura un moto spontaneo e naturale, accompagnato dalle pieghe del soprabito all'altezza delle ginocchia. È il realismo personale che accompagna Monteverde dal Mazzini del 1876.
Più metaforiche le opere Idealità e Materialismo e Pensiero, ed efficace il Monumento a Bellini (Catania), con i melodrammi del musicista nelle quattro statue (Arturo dei Puritani, il Pirata, la Norma, la Sonnambula).
Sito di scultura italiana, le pagine di Monteverde in: opere di Monteverde, su scultura-italiana.com. URL consultato il 29 gennaio 2007 (archiviato dall'url originale il 31 dicembre 2006).
Dal sito precedente, la pagina relativa al monumento Giuseppe Saracco ad Acqui Terme, piazza Italia, 1917, in: monumento a Saracco