Nella seconda metà del XIX secolo, al tempo di Schleicher e della Scuola neogrammaticaletedesca, vi era ampia fiducia nella possibilità di ricostruire concretamente l'indoeuropeo, fino a poterlo utilizzare quasi fosse una lingua viva. I progressi dell'indoeuropeistica nel corso del XX secolo hanno invece mostrato l'illusorietà di tale prospettiva, evidenziando piuttosto come quanto ricostruito sia piuttosto una serie di fenomeni diacronici senza che se ne possa stabilire fondatamente l'eventuale contemporaneità sincronica; tuttavia, altri linguisti dopo Schleicher hanno proposto loro versioni de La pecora e i cavalli, via via aggiornate secondo l'evoluzione delle conoscenze e le personali ipotesi dei vari autori[1].
«Una pecora tosata vide dei cavalli, uno dei quali tirava un pesante carro, un altro portava un grande carico e un altro trasportava un uomo. La pecora disse ai cavalli: "Mi piange il cuore vedendo come l'uomo tratta i cavalli". I cavalli le dissero: "Ascolta, pecora: per noi è penoso vedere che l'uomo, nostro signore, si fa un vestito con la lana delle pecore, mentre le pecore restano senza lana". Dopo aver sentito ciò, la pecora se ne fuggì nei campi.»
La versione di Schleicher (1868)
Avis akvāsas ka, la versione della favola proposta da August Schleicher nel 1868[2]:
«Avis, jasmin varnā na ā ast, dadarka akvams, tam, vāgham garum vaghantam, tam, bhāram magham, tam, manum āku bharantam. Avis akvabhjams ā vavakat: kard aghnutai mai vidanti manum akvams agantam. Akvāsas ā vavakant: krudhi avai, kard aghnutai vividvant-svas: manus patis varnām avisāms karnauti svabhjam gharmam vastram avibhjams ka varnā na asti. Tat kukruvants avis agram ā bhugat.»
L'"indoeuropeo" di Schleicher assume che il vocalismo e/o fosse secondario[senza fonte] e appare, di fatto, assai vicino al sanscrito, in accordo con la corrente, maggioritaria nell'indoeuropeistica del suo tempo, secondo la quale alla maggior antichità dei testi sanscriti (e greci) noti corrispondeva anche una maggior arcaicità, e quindi una maggiore vicinanza all'indoeuropeo comune. Tale impostazione, definita dai suoi critici "paradigma greco-sanscritista", fu portata avanti in particolare della Scuola neogrammaticale tedesca e raggiunse la sua massima stabilizzazione con la monumentale Grundriß der vergleichenden Grammatik der indogermanischen Sprachen (1897-1916) di Karl Brugmann, che rappresentò per decenni il punto di riferimento dell'indoeuropeistica[3].
In questa prospettiva, la "traduzione" di Schleicher in indoeuropeo è diretta conseguenza della sua concezione della linguistica, secondo la quale le lingue si evolvono in modo regolare, uniforme e conoscibile; una volta individuatene le leggi di evoluzione, quindi, sarebbe stato sufficiente percorrerle a ritroso a partire dalle lingue storiche fino ad approdare all'"indoeuropeo". Una prospettiva ampiamente rigettata dagli indoeuropeisti successivi, tanto che quella di Schleicher fu definita "dilettantesca ingenuità"[1].
«Owis, jesmin wьlənā ne ēst, dedork'e ek'wons, tom, woghom gʷьrum weghontm̥, tom, bhorom megam, tom, gh'ьmonm̥ ōk'u bherontm̥. Owis ek'womos ewьwekʷet: k'ērd aghnutai moi widontei gh'ьmonm̥ ek'wons ag'ontm̥. Ek'wōses ewьwekʷont: kl'udhi, owei!, k'ērd aghnutai vidontmos: gh'ьmo, potis, wьlənām owjôm kʷr̥neuti sebhoi ghʷermom westrom; owimos-kʷe wьlənā ne esti. Tod k'ek'ruwos owis ag'rom ebhuget.»
La proposta di Hirt tentò di riformulare la favoletta alla luce dei progressi compiuti nella ricostruzione della fonetica dell'indoeuropeo (introdusse il vocalismo e/o, consonanti vocaliche e labiovelari e velaripalatalizzate), ma anche il suo esperimento - così come, sostanzialmente, quelli successivi - continua da molti a essere giudicato ingenuo e soprattutto del tutto privo di concretezza storica[1].
«Gʷərēi owis, kʷesjo wl̥hnā ne ēst, eḱwōns espeḱet, oinom ghe gʷr̥um woǵhom weǵhontm̥, oinomkʷe meǵam bhorom, oinomkʷe ǵhm̥enm̥ ōḱu bherontm̥. Owis nu eḱwobh(j)os (eḱwomos) ewewkʷet: "Ḱēr aghnutoi moi eḱwōns aǵontm̥ nerm̥ widn̥tei". Eḱwōs tu ewewkʷont: "Ḱludhi, owei, ḱēr ghe aghnutoi n̥smei widn̥tbh(j)os (widn̥tmos): nēr, potis, owiōm r̥ wl̥hnām sebhi gʷhermom westrom kʷrn̥euti. Neǵhi owiōm wl̥hnā esti". Tod ḱeḱluwōs owis aǵrom ebhuget.»
L'elaborazione del 1979 riflette nuovamente gli sviluppi dell'indoeuropeistica, soprattutto in campo fonetico: abbozza qualche fonemalaringale (qui "h") e introduce alcune nuove ipotesi lessicali (pronome relativo *kʷesjo, la forma *nēr per "uomo").
«[Gʷr̥hxḗi] h2óu̯is, kʷési̯o u̯lh2néh4 ne (h1é) est, h1ék̂u̯ons spék̂et, h1oinom ghe gʷr̥hxúm u̯óĝhom u̯éĝhontm̥ h1oinom-kʷe ĝ méĝham bhórom, h1oinom-kʷe ĝhménm̥ hxṓk̂u bhérontm̥. h2óu̯is tu h1ek̂u̯oibh(i̯)os u̯eukʷét: 'k̂ḗr haeghnutór moi h1ék̂u̯ons haéĝontm̥ hanérm̥ u̯idn̥téi. h1ék̂u̯ōs tu u̯eukʷónt: 'k̂ludhí, h2óu̯ei, k̂ḗr ghe haeghnutór n̥sméi u̯idn̥tbh(i̯)ós. hanḗr, pótis, h2éu̯i̯om r̥ u̯l̥h2néham sebhi kʷr̥néuti nu gʷhérmom u̯éstrom néĝhi h2éu̯i̯om u̯l̥h2néha h1ésti.' Tód k̂ek̂luu̯ṓs h2óu̯is haéĝrom bhugét.»
Adams introduce interamente, nella sua "traduzione" della favola, la Teoria delle laringali, nella versione che esclude anche la vocale /a/ dall'inventario indoeuropeo primario (avrebbe avuto origine in seguito, come conseguenza del processo di perdita dei fonemi laringali).
Come quella di Adams tentava di includere nella favoletta la Teoria delle laringali, così la versione di Kortlandt (dedicata a Bernard Comrie) riflette il consenso via via raccolto dalla Teoria delle glottali, che postula l'esistenza, nell'indoeuropeo originario, di fonemi glottali completamente scomparsi in tutti i dialetti storici, ma che tuttavia potrebbero risolvere diverse aporie nel sistema delle occlusive tradizionalmente ricostruito. Inoltre, Kortlandt tenta di attribuire un concreto valore fonetico alle laringali abitualmente indicate con lo schematismo *h1, *h2 e *h3; Kortlandt propone per le tre laringali, rispettivamente, i fonemi *ʔ (occlusiva glottidale sorda), *ʕ (fricativa faringale sonora), *ʕʷ (fricativa faringale sonora labializzata). Infine, Kortlandt elimina le velari palatali, riducendo la serie delle occlusive a velari e labiovelari.
Nel film di fantascienza Prometheus (2012), di Ridley Scott, si può ascoltare una versione della favola di Schleicher in una scena in cui l'androide David studia i tentativi di ricostruzione del linguaggio primordiale del genere umano.
Note
^abcdFrancisco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa, pp. 201-202.
^August Schleicher, Fabel in indogermanischer Ursprache, pp. 206-208.
^Rosemarie Lühr, Von Berthold Delbrück bis Ferdinand Sommer: Die Herausbildung der Indogermanistik in Jena, p. 4.
Bibliografia
Fonti primarie
(DE) August Schleicher, Fabel in indogermanischer Ursprache, in Beiträge zur vergleichenden Sprachforschung auf dem Gebiete der arischen, celtischen und slawischen Sprachen, Berlino, Dümmler, 1868.
(DE) Hermann Hirt, Die Hauptprobleme der indogermanischen Sprachwissenschaft, a cura di Helmut Arntz, Halle, Niemeyer, 1939.
(EN) Winfred P. Lehmann, Ladislav Zgusta, Schleicher's tale after a century, in Simony Brogyanyi (a cura di), Festschrift for Oswald Szemerényi on the Occasion of his 65th Birthday, Amsterdam, 1979.
(ES) Francisco Villar, Los Indoeuropeos y los origines de Europa: lenguaje e historia, Madrid, Gredos, 1991, ISBN84-249-1471-6. Trad. it.: Francisco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa, Bologna, Il Mulino, 1997, ISBN88-15-05708-0.