Liberato, fu caporedattore de La Nuova Europa di Luigi Salvatorelli. La commissione per la revisione dell’albo dei giornalisti di Roma, da lui presieduta, svolse "un’intensa attività per allontanare dalla professione i giornalisti compromessi con la dittatura", anche se "il buon lavoro svolto nel
corso del ’45 (...) risultò alla fine vanificato da quelle misure di clemenza adottate nel ’46 allo scopo di favorire la ricostruzione del paese, che consentirono ai giornalisti epurati di essere reintegrati nella professione"[2].
Fu anche commissario (1944) e presidente della Società Italiana degli Autori ed Editori dal 1946 almeno fino al 1969 (l'ultima proroga della sua nomina è datata 23 gennaio 1967)[3].
Particolarmente note sono le sue opere Il fascismo visto da un solitario (1923) e Destino dell'Occidente (1960). Nel 1966 scrisse un pamphlet, Il voto obbligatorio nel Paese dei balocchi, nel quale narrò le sue disavventure nel vano tentativo di farsi apporre sulla tessera elettorale l'annotazione “non ha votato”.
^Klaus Heitmann, Das italienische Deutschlandbild in seiner Geschichte. Bd. III, Das kurze zwanzigste Jahrhundert (1914-1989), I. Italien gegen Deutschland: der Erste Weltkrieg. 1ª ed. Heidelberg: Winter, 2012, pp. 225-244 (“Die Gruppe Pro Italia nostra”).
^Pierluigi Allotti, L'epurazione dei giornalisti del secondo dopoguerra (1944-1946), Mondo contemporaneo : rivista di storia, 2010, Fascicolo 1, pp. 6-7 (Milano : Franco Angeli), secondo cui "nell’estate del ’47 lo stesso Vinciguerra, dalle colonne
del Messaggero, invitò tutti a metterci definitivamente una pietra sopra, per «dimenticare quel passato» e «creare un’atmosfera di riconciliazione»".