La sua carriera di incaricato delle esecuzioni delle condanne a morte durò ben 68 anni ed iniziò all'età di 17 anni, il 22 marzo 1796: fino al 1864 raggiunse la quota di 514 condanne a morte (sul proprio taccuino Bugatti annotò 516 nomi di giustiziati, ma dal conto vengono sottratti due condannati, uno perché fucilato e l'altro perché impiccato e squartato dall'aiutante)[1], per una media dunque di 7 condanne annue. Egli operò anche sotto il dominio francese, in cui compì 55 esecuzioni del totale.
Le sue prestazioni sono infatti tutte annotate in un elenco che arriva fino al 17 agosto 1864, quando ormai all'età di 85 anni, venne sostituito da Vincenzo Balducci e papa Pio IX gli concesse la pensione, con un vitalizio mensile di 30 scudi.
Mastro Titta offre una presa di tabacco a un condannato prima dell'esecuzione
Mastro Titta eseguiva sentenze in tutto il territorio pontificio. Un anonimo autore del XIX secolo scrisse una sua finta autobiografia[2], intitolata Mastro Titta, il boia di Roma: Memorie di un carnefice scritte da lui stesso, nella quale gli fa descrivere in questo modo l'inizio della sua attività di giustiziere al servizio di Sua Santità: «....(omissis), impiccando e squartando a FolignoNicola Gentilucci, un giovinotto che, tratto dalla gelosia, aveva ucciso prima il prete di Cannaiola di Trevi e il suo cocchiere, poi, costretto a buttarsi alla macchia, grassato[3] due frati». Tale episodio ha ispirato il romanzo I topi del Papa, scritto da un discendente del Gentilucci. La finta autobiografia, scritta e pubblicata anni dopo la presa di Roma e la morte del Bugatti, è scritta in chiave anticlericale e presenta Mastro Titta come un cinico e freddo assassino, mano spietata del governo del papa.
A Valentano, presso l'archivio storico, è reperibile la testimonianza della sua prima esecuzione nella località di Poggio delle Forche, scritta in prima persona: «Il 28 marzo 1797, mazzolai e squartai in Valentano Marco Rossi, che aveva ucciso suo zio e suo cugino per vendicarsi della non equa ripartizione fatta di una comune eredità».
Il nomignolo dato al Bugatti fu poi esteso anche ai suoi successori: in alcune terre che fecero parte dello Stato Pontificio, ma a Roma in particolar modo, la locuzione mastro Titta è sinonimo di boia.
Nei lunghi periodi di inattività, svolgeva il mestiere di venditore di ombrelli, sempre a Roma. Il boia viveva nella cinta vaticana, sulla riva destra del Tevere, nel rione Borgo, al numero civico 4 di Vicolo del Campanile.
Era naturalmente malvisto dai propri concittadini; tanto che gli era vietato, per prudenza, recarsi nel centro della città, dall'altro lato del Tevere (donde il proverbio "Boia nun passa Ponte", a significare "ciascuno se ne stia nel proprio ambiente"). Siccome a Roma le esecuzioni capitali pubbliche decretate dal papa, soprattutto quelle esemplari, non avvenivano nel borgo papalino ma sull'altra sponda del Tevere - in Piazza del Popolo o a Campo de' Fiori o nella piazza del Velabro (dove Monicelli ha ambientato l'esecuzione del brigante don Bastiano nella pellicola cinematografica Il marchese del Grillo) - in eccezione al divieto, il Bugatti doveva attraversare il Ponte Sant'Angelo per andare a prestare i propri servigi. Questo fatto diede origine all'altro modo di dire romano, Mastro Titta passa ponte, a significare che quel giorno era in programma l'esecuzione di una sentenza capitale.
Il 19 maggio 1817, George Gordon Byron si trovava in piazza del Popolo mentre tre condannati (Giovanni Francesco Trani, Felice Rocchi e Felice De Simoni) venivano decapitati: il poeta descrisse questa esperienza in una lettera indirizzata al suo editore John Murray.
Lo scrittore inglese Charles Dickens, durante il viaggio che compì in Italia fra il luglio 1844 ed il giugno dell'anno successivo, mentre era di passaggio a Roma, nella giornata di sabato 8 marzo 1845[4][5], assistette a un'esecuzione in via de' Cerchi effettuata dal Bugatti[6], che commentò nel suo libro Lettere dall'Italia[7].
Lista incompleta: sono qui riportate le note redatte dal Bugatti, il quale aveva l'abitudine di registrare le esecuzioni compiute. Si deve ad Alessandro Ademollo il ritrovamento di questo documento che venne pubblicato per la prima volta da Lapi in Città di Castello nel 1886. [9]
Giuseppe Gioachino Belli ha dedicato vari sonetti a Mastro Titta e alla figura del boia. Quello riportato qui è il n. 68, composto nel 1830. L'impiccagione di cui si narra è quella di Antonio Camardella, colpevole dell'uccisione del canonico e socio in affari Donato Morgigni; impiccagione eseguita nel 1749, ben prima della nascita del Bugatti. Il boia viene però ugualmente chiamato Mastro Titta, tanta era la fama che già ai tempi del Belli, il Bugatti, giunto appena a metà della sua ultrasessantennale carriera, godeva nello Stato Pontificio.
Un padre, imbattutosi col figlioletto nella pubblica impiccagione del Camardella, si adegua ad un'antica tradizione romanesca, mostrando al figlio a fini "educativi" la lugubre cerimonia ma colpendolo nel contempo con un sonoro ceffone, perché possa ricordarsi per sempre che nessuno può ritenersi migliore di un qualsiasi delinquente e che, se non si riga dritto, anche i migliori sono destinati alla stessa fine!
Er giorno che impiccòrno Gammardella io m'èro propio allora accresimato. Me pare mó, ch'er zàntolo a mmercato me pagò un zartapicchio[10] e 'na sciammèlla.
Mi' padre pijjò ppòi la carrettèlla, ma pprima vòrze gòde[11] l'impiccato: e mme teneva in arto inarberato discènno: «Va' la forca quant'è bbèlla!».
Tutt'a un tèmpo ar paziènte Mastro Titta[12] j'appoggiò un carcio in culo, e Ttata a mmene un schiaffone a la guancia de mandritta.
«Pijja», me disse, «e aricòrdete bbène che sta fine medema sce stà scritta pe mmill'antri che ssò mmèjjo de tene».»
(IT)
«Il ricordo
Il giorno che impiccarono il Camardella io mi ero appena cresimato. Mi sembra adesso, che il padrino al mercato mi comprò un “saltapicchio” e una ciambella.
Mio padre prese poi la carozzella, ma prima volle “godersi” l'impiccato: e mi teneva in alto sollevato, dicendo: «Guarda la forca quant'è bella!».
Tutt'a un tratto, al “paziente”, Mastro Titta appioppò un calcio in culo, e il papà a me uno schiaffone sulla guancia con la destra.
«Tieni!», mi disse, «e ricordati bene che questa stessa fine sta già scritta per mille altri che sono meglio di te».»
Una memorabile rappresentazione di Mastro Titta è anche nella commedia musicaleRugantino (1962) di Garinei e Giovannini, nella quale alla figura del boia si sostituisce quella di un bonario e paterno vinaio, riluttante all'esecuzione di un suo conoscente di antica data. Nelle prime due messe in scena, il ruolo fu interpretato da Aldo Fabrizi.
Mastro Titta compare anche nella pellicola Nell'anno del Signore di Luigi Magni, nella scena finale in cui taglia il collo ai due carbonari Targhini e Montanari, venendo definito da quest'ultimo "l'uomo più moderno di Roma".
Tradizioni popolari
Nella tradizione popolare romanesca è celebre la leggenda che vorrebbe Mastro Titta, ormai divenuto un fantasma, passeggiare talvolta alle prime luci dell'alba, avvolto nel rosso mantello che usava quand'era in vita, nei luoghi delle esecuzioni, presso la chiesa di Santa Maria in Cosmedin, in Piazza del Popolo e in piazza di Ponte Sant’Angelo; si dice anche che talvolta offra una presa di tabacco a chi incontra, così come era solito fare con i condannati.[13]
^Esecuzione n° 384: Giovanni Vagnarelli del fu Agostino da Gubbio, di anni 26, coniugato, campagnolo, per grassazione, ed omicidio in persona di Anna Cotten Bavarese, condannato "al taglio della testa" li 8 marzo 1845 in via dei Cerchi, in Mastro Titta, il boia di Roma. Memorie di un carnefice scritte da lui stesso Annotazioni.
^Il carnéfice è a Roma conosciuto sotto questo nome (NdA)
^Copia archiviata, su laboratorioroma.it. URL consultato il 19 dicembre 2017 (archiviato dall'url originale l'11 maggio 2016).
Bibliografia
Lanfranco Cesari, Mastro Titta: giustizie eseguite dal carnefice romano nell'Umbria papalina, Foligno, 1998.
Charles Dickens, Lettere dall'Italia a cura di Lucio Angelini; Milano, Lampi di stampa, 1999, ISBN 88-488-0080-7.
Anonimo (attribuito a Ernesto Mezzabotta), Mastro Titta, il boia di Roma. Memorie di un carnefice scritte da lui stesso, Tip. Edoardo Perino, Roma 1891. Riedito da Barbes, Firenze 2010.
Livio Iannattoni, Mastro Titta. Boja de Roma, 1984.