Fondato da Emilio Borzino, a Bologna, l'8 ottobre 1922, assunse un atteggiamento di collaborazione con il governo fascista fino al delitto Matteotti del 1924. Il PLI fu poi sciolto dal regime fascista assieme alle altre organizzazioni politiche nel 1926, per essere ricostituito nell'estate del 1943, per iniziativa di Benedetto Croce e Luigi Einaudi[13]. Una componente più giovanile e riformatrice intorno a Nicolò Carandini e Leone Cattani fuoriuscì dal partito nel 1948 e si organizzò nel Movimento Liberale Indipendente, che si sciolse nel 1951 e divenne il nucleo del nuovo PLI di Roma. Si è sciolto nel 1994, dando vita a numerose formazioni ed alla diaspora liberale nel panorama politico italiano.
Al suo interno vi fu a lungo un contrasto alquanto acceso tra le varie correnti, in particolare nel primo decennio del dopoguerra.
Caratterizzato dal liberalismo riformatore di Croce, si spostò successivamente su posizioni conservatrici, in particolare sotto la segreteria di Roberto Lucifero (1947-48). Riportato sulla linea di centro laico dal suo successore Bruno Villabruna, ebbe una nuova modifica del suo indirizzo politico verso posizioni liberiste sotto la segreteria di Giovanni Malagodi dal 1954.
La componente minoritaria di sinistra legata agli spunti culturali del giornale Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio, già uscita una prima volta nel 1948 (costituendo il MLI), salvo tornare al Convegno per l'unificazione delle forze liberali di Torino nel 1951, assunse un'opposizione intransigente a Malagodi e si distaccò definitivamente dal PLI nel 1955 per fondare il Partito Radicale, che non ebbe successo elettorale.
Sotto la leadership di Malagodi il PLI si distinse per la sua opposizione ai governi di centro-sinistra, rifiutando nello stesso tempo ogni compromesso con la destra estrema del MSI e con la destra dei monarchici. Solo nel 1972 ritornò ad un governo[14] centrista guidato da Giulio Andreotti, con Malagodi ministro del Tesoro. Dopo il declino di questa politica, nel 1976 il partito subì una nuova correzione dell'indirizzo politico verso sinistra, guidata dal nuovo segretario Valerio Zanone. Partecipò negli anni ‘80 a numerosi governi pentapartitici, fino al suo scioglimento nel 1994.
Le forze politiche liberali furono le protagoniste del processo che si compì nel 1861 e che condusse all'Unità d'Italia in alleanza con la Monarchia di Casa Savoia. La natura estremamente elitaria del nuovo Stato italiano fece sì che l'intero Parlamento divenisse praticamente espressione di tale ideologia politica, seppur suddivisa fra una fazione rigidamente conservatrice, e un'altra più progressista e innovatrice. Quest'assoluto predominio, unito ai fenomeni di trasformismo che ben presto caratterizzarono la politica nazionale, impedirono la costituzione di un partito vero e proprio. I liberali diedero vita a molti governi, tra i quali quello di Cavour, di Giuseppe Zanardelli e di Giovanni Giolitti.
La breccia di Porta Pia nel 1870, e il conseguente insorgere della Questione romana, scavarono un solco profondissimo fra i liberali più intransigenti e cavouriani, i quali tenevano molto al concetto di "Libera Chiesa in libero Stato", e il mondo cattolico, spingendo quest'ultimo all'opposizione del regime sabaudo e dell'ordine politico vigente.
Dopo la riforma, il suffragio elettorale allargato, che concedeva il diritto di voto a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto i 21 anni, indipendentemente dal censo, portò l'azione istituzionale giolittiana ad occupare lo spazio tra il centro dello schieramento politico italiano e le posizioni liberali di sinistra.
Su tali basi la lista giolittiana, che comprendeva anche candidati cattolici, ottenne nelle Elezioni politiche italiane del 1913, le prime a suffragio universale maschile, una schiacciante vittoria elettorale ai danni dei socialisti, dei repubblicani e dei radicali con il 51 % dei voti espressi e, su 508 seggi, 260 eletti.
Il Partito Liberale si costituì in vero e proprio partito nel 1922, non più come comitato elettorale, ma in maniera più strutturata. Lo slogan era: "Organizzarsi o morire".[15] Il Partito Liberale così riorganizzato, con Giovanni Giolitti, Antonio Salandra e Vittorio Emanuele Orlando, continuò tuttavia ad essere più un punto di riferimento aperto che un partito monolitico in grado di proporsi al paese come la sola espressione della rappresentanza politica liberale. Di fronte all'ascesa del fascismo, i liberali chiesero un ritorno alle norme statutarie ossia al governo del re,[16] e in molti casi collaborarono all'instaurazione del nuovo regime totalitario, sia a livello centrale dove molti esponenti entrarono nel Governo Mussolini all'indomani della Marcia su Roma, sia a livello locale.
Il movimento mussoliniano veniva infatti visto come argine all’ascesa del movimento operaio e delle forze popolari in generale, tanto che In vista delle elezioni del 1924 parecchi liberali accettarono di entrare nel Listone Mussolini, da Orlando a Salandra a De Nicola, con l’importante eccezione di Giovanni Giolitti. In seguito al Delitto Matteotti e ai decreti che eliminavano la libertà di stampa, il partito prese le distanze dal fascismo durante il II Congresso di Livorno, seppur con rilevanti defezioni al proprio interno.[17] L'avvento della dittatura comportò lo scioglimento di tutti i partiti all'infuori del PNF, ma un numero limitato di liberali trovò un modus vivendi con il regime.
D'altra parte, il più importante tra gli intellettuali liberali, il filosofo e storico Benedetto Croce, che nel 1922 aveva giustificato il fascismo come esigenza temporanea per ridare ordine, divenne un convinto antifascista dal 1924: per tutto il ventennio, in Italia e all'estero, egli diede vita all'opposizione morale e intellettuale alla dittatura, in nome della "religione della libertà" e del richiamo al Risorgimento nazionale: un'opposizione che, per il grande prestigio internazionale del filosofo ma soprattutto per il suo seggio da senatore a vita, il fascismo fu costretto a tollerare, almeno fino a un certo segno, lasciandogli continuare liberamente i suoi studi, ma senza fare propaganda politica attiva dopo il 1925.[18] Fu in quell'anno che Croce redasse il Manifesto degli intellettuali antifascisti.
La ricostituzione del PLI
Dopo il 25 luglio 1943, alcuni esponenti politici liberali ripresero a partecipare all'attività politica in nome del Partito Liberale, sulla base del proprio prestigio personale prima ancora che il partito fosse formalmente ricostituito. Sorse così il desiderio e l'esigenza di rifondare il Partito Liberale sciolto dal fascismo.
Alcuni, come ad esempio Leone Cattani, Nicolò Carandini e Mario Pannunzio, iniziarono, dopo l'8 settembre 1943, a pubblicare in clandestinità un periodico, il Risorgimento Liberale. Dopo la liberazione della capitale, Risorgimento Liberale diventò l'organo ufficiale dell'embrione di partito che andava ricostituendosi. Per analogia con gli altri partiti a base ideologica, venne coniato il termine Partito Liberale Italiano. Rimase sempre forte il senso di continuità storica con il partito precursore e la fase costituente del PLI fu vista e vissuta essenzialmente come la riorganizzazione del Partito Liberale.
Al nord Edgardo Sogno, medaglia d'oro della resistenza e capo dell'Organizzazione Franchi, partecipò al CLNAI in rappresentanza del Partito Liberale. Durante la Resistenza i Liberali parteciparono attivamente alle azioni militari partigiane ed ebbero molti caduti tra le loro file. Molti di essi militarono nelle Formazioni Autonome, i cosiddetti Badogliani.
Sebbene nell'atto costitutivo approvato nel Congresso di Roma (dal 9 aprile al 3 maggio 1946) vi fosse un esplicito riferimento all'epoca giolittiana, il Partito Liberale Italiano (PLI) ebbe una rilevante componente di destra.
Nel referendum istituzionale per la scelta tra repubblica e monarchia, il PLI si schierò per la monarchia[19]. La stragrande maggioranza dei liberali votò a favore della Monarchia, anche se Croce, successivamente, invitò il PLI a integrarsi e servire fedelmente la Repubblica.
La segreteria di Giovanni Malagodi valorizzò posizioni maggiormente liberiste, vicine agli insegnamenti di Einaudi, sfociate in una durissima opposizione alla nazionalizzazione dell'energia elettrica e in generale alla formula del centro-sinistra. Questa dura contrapposizione alle riforme varate dal nascente Centrosinistra portò ad un sostanziale avanzamento elettorale, nel 1963 i liberali ottennero il miglior risultato dell'epoca repubblicana, con l'elezione di 39 deputati e 18 senatori, raddoppiando la propria rappresentanza parlamentare. Guadagnò voti in tutta Italia, specialmente nel Nord Ovest, zona di maggior influenza liberale, ma comunque in tutto il Nord Italia, a Roma e in Sicilia, dove ottenne più del 10% dei voti.
Il Partito liberale fu uno dei più strenui oppositori della riforma urbanistica ideata dal ministro Fiorentino Sullo e che cercava di limitare gli effetti negativi della speculazione edilizia. In generale, il PLI di Malagodi si presentò come il difensore della proprietà privata, della libera impresa e del risparmio individuale. Avversò quindi anche ogni forma di dirigismo economico e la partecipazione delle imprese dello Stato (le imprese statali) ad attività imprenditoriali di mercato. Grazie a queste posizioni il PLI arrivò a più che triplicare i propri consensi elettorali soprattutto al nord. In particolare il PLI si oppose alle nazionalizzazioni, soprattutto di quella dell'industrie elettriche e all'istituzione delle regioni, viste come inutili forme di dissipazione del denaro pubblico. Il cavallo di battaglia era la lotta agli sprechi della pubblica amministrazione e all'eccessiva tassazione.
Rimasto all'opposizione per tutti gli anni sessanta, il PLI subì poi una crisi elettorale che lo portò a diventare un partito marginale nello scacchiere politico italiano, a causa del forte ostracismo dei partiti del centrosinistra e dello spostamento a sinistra dell'elettorato negli anni settanta. Malagodi durante la sua segreteria mantenne sempre un approccio laico intransigente sulle questioni dal punto di vista morale ed etico, in particolare quando appoggiò il progetto di legge sul divorzio proposto dal deputato liberale Antonio Baslini, insieme al socialista Loris Fortuna, detta appunto Legge Fortuna-Baslini, che segnò l'inizio della stagione dei diritti civili in Italia.
Il PLI tornò nell'area di governo nel 1972, quando entrò nel Governo Andreotti II con l'organica partecipazione di ministri e sottosegretari, l'esecutivo fu anche noto come Governo Andreotti-Malagodi. Lo stesso Malagodi fu Ministro del Tesoro.
Alle elezioni politiche del 1976 il PLI ebbe un significativo calo e la guida del partito passò alla corrente di sinistra favorevole alla collaborazione con i socialisti e in generale al progetto di costruzione di una maggioranza partecipativa tra DC e partiti laici (PLI, PRI, PSI, PSDI). Valerio Zanone fu il nuovo segretario a partire dal 1976 e iniziò gradatamente ad orientarlo verso posizioni diverse dalla sua storia recente (da Malagodi in avanti), richiamando in qualche modo la linea della segreteria di Bruno Villabruna.
Nel 1985 dopo un arretramento elettorale, il vertice nazionale cambiò ancora. Alfredo Biondi e Raffaele Costa diedero vita alla "Costituente Liberale" che portò all'elezione di Alfredo Biondi alla segreteria nazionale. In alcuni comuni pugliesi fu proposto un accordo con il PCI rompendo con la linea nazionale. La nuova alleanza nelle giunte pugliesi fu proposta dal segretario regionale Valentino Stola[20]. Nel 1986 la componente di sinistra elesse segretario Renato Altissimo, che portò il partito all'incremento elettorale delle politiche del 1992. In seguito alle dimissioni di Altissimo, viene eletto segretario Raffaele Costa.
La diaspora liberale
Partendo da dati elettorali esigui, era inimmaginabile che il PLI potesse resistere al ciclone Tangentopoli.
Sebbene solo sfiorato dalle inchieste di Mani Pulite sul finanziamento illecito ai partiti, si sciolse nel 1994, al pari di altri partiti della Prima Repubblica. Un dibattito furente precedette il XXII congresso che ne sancì ufficialmente lo scioglimento il 6 febbraio 1994. Già nel corso del 1993 alcuni esponenti liberali avevano però tentato di proseguire una presenza concreta sotto nuovi forme e simboli.
Il giorno dopo lo scioglimento, alcuni esponenti dell'ex PLI scelsero di dare vita a un coordinamento dei liberali ormai sparsi in diversi movimenti nella prospettiva di riunificare in futuro le diverse esperienze dei liberali: Raffaello Morelli fondò la Federazione dei Liberali. In occasione delle elezioni politiche del 1994 la Federazione dei Liberali non si presentò, limitandosi semplicemente alla stesura di un documento di indirizzo politico-programmatico in cui si invitavano ad aderire gli esponenti candidati nei vari schieramenti. La nuova formazione ereditò il seggio del PLI nell'Internazionale Liberale e la stessa sede di via Frattina a Roma, rivendicando in tal modo la continuità del disciolto partito.
Nel 1995 l'Unione Liberaldemocratica confluì in essa e l'anno dopo contribuì alla fondazione dell'Ulivo.
Sostanzialmente i liberali si dispersero in sette direzioni:
un altro gruppo, con Antonio Martino, Carlo Scognamiglio, Gianfranco Ciaurro e Pietro Di Muccio, aderì direttamente a Forza Italia, che realizzava l'antica ambizione sonniniana[21] del partito liberale di massa, sebbene buona parte delle riforme liberali promesse non furono realizzate, anche per la presenza di una maggioranza di derivazione democristiana e talvolta anti-liberista;
Questa voce o sezione sull'argomento partiti politici italiani non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti.
Commento: attribuzioni POV di liberali che necessitano ognuna di fonte seria; direi anzi sezione tutta da controllare, ad esempio Biondi nel 1997 era vicepresidente della Camera per Forza Italia, altro che rifondare il PLI
alcuni liberali, a livello locale, sono entrati nel movimento politico della Lega Nord, come l'ex presidente della provincia di Vicenza Manuela Dal Lago;
alcuni liberali sono membri della Destra Liberale Italiana (più spostata a destra rispetto al Partito Liberale attuale), altri membri di partiti liberali regionali si sono riuniti in un Coordinamento dei Liberali Italiani.
Alle politiche del 2006 il Partito Liberale (che dal 2004 aveva mutato nome in Partito Liberale Italiano) aderì alla Casa delle Libertà. Due anni dopo, tuttavia, concorse alle elezioni politiche con liste autonome, in cui confluirono altri soggetti minori (Polo Civico di Centro, Unione Cattolica Italiana), e raccolse lo 0,3% dei voti.[36][37]
Nel febbraio 2014 diversi esponenti ed ex esponenti del PLI costituirono "I Liberali"[40][41]. Alle europee del 2014 il PLI prese parte alla lista elettorale di area liberaldemocratica Scelta Europea,[42] che ottenne lo 0,7% dei voti.
Per le elezioni politiche del 2018, il PLI aderì alla coalizione di centro-destra[43] e grazie all'accordo con la Lega elesse due suoi iscritti (Giuseppe Basini alla Camera e Cinzia Bonfrisco al Senato), che scelsero tuttavia di iscriversi ai gruppi parlamentari della Lega. Nel corso del 2019 la presa di distanza dalle posizioni della Lega[44] si tradusse nella necessità di "un'ampia coalizione liberale contro i sovranismi"[45], in opposizione alla quale i parlamentari Basini e Bonfrisco fondarono la "Destra Liberale Italiana" alleata della Lega[46][47]. A marzo 2020 I Liberali rientrarono nel PLI e Carlo Scognamiglio fu nominato presidente d'onore. Nei mesi successivi fu avviato, ma non venne perfezionato, l'avvicinamento del PLI alle forze di area liberaldemocratica, promosso a partire dalla costituzione del gruppo parlamentare di Azione e +Europa.[48][49]
Il 30 luglio 2022, in vista delle elezioni politiche anticipate, il Consiglio Nazionale sfiducia il presidente Stefano De Luca e il co-segretario Nicola Fortuna, mentre il nuovo presidente facente funzioni diventa Francesco Pasquali e il segretario Roberto Sorcinelli si professa favorevole ad un'alleanza con il centro-destra.[50][51] Alle elezioni politiche sostiene la lista di Forza Italia[52] mentre alle europee del 2024 sigla un accordo con la Lega.[53]
Ideologia e correnti
I valori e gli obiettivi programmatici erano basati sul principio liberale "La tua libertà finisce dove inizia la mia", visto come il principale obiettivo da perseguire.
All'interno vi erano varie correnti: una maggioranza corposa, "di destra", si ispirava chiaramente ai concetti del liberalismo conservatore; una di centro si basava oltre che sul liberalismo classico naturalmente al pensiero crociano e giolittiano e infine una di sinistra.
Fino al 1946 il partito ostentò un atteggiamento monarchico, che si trasformò in una posizione di totale accettazione della Repubblica dopo l'esito del referendum, nonché decisamente laico, secondo il celebre detto di Cavour "Libera Chiesa in libero Stato".
Giustino Arpesani, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri
Antonio Cifaldi, Sottosegretario di Stato del Ministero per l'assistenza postbellica
Enzo Storoni, Sottosegretario di Stato del Ministero dell'industria e del commercio fino al 9 gennaio 1946 e Sottosegretario di Stato del Ministero del commercio con l'estero dal 9 gennaio 1946
Raffaele Costa, Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie e per gli affari regionali fino al 21 febbraio 1993 poi Ministro della sanità
Gianfranco Ciaurro, Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie e per gli affari regionali dal 21 febbraio 1993
Saverio D'Aquino, Sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno
Stefano De Luca, Sottosegretario di Stato del Ministero delle finanze
z Risultato delle due liste che utilizzarono il simbolo del partito. Molti liberali furono però eletti con la Lista Nazionale a Tra i 41 seggi dell'Unione Democratica Nazionale b Tra i 19 e i 7 seggi del Blocco Nazionale, più due candidati indipendenti c Con PRI (totale seggi: 5, di cui 3 PLI) d Con PRI e Federalisti (seggi PLI: nessuno)
^Partito liberale italiano, su dizionaripiu.zanichelli.it, Zanichelli. URL consultato il 16 luglio 2020 (archiviato dall'url originale il 12 febbraio 2022).
^La Storia siamo noi - Benedetto Croce, su lastoriasiamonoi.rai.it. URL consultato il 22 novembre 2011 (archiviato dall'url originale il 17 ottobre 2012).
^Il 16 settembre 1901, nell'editoriale Questioni urgenti scritto per il suo quotidiano, Il Giornale d'Italia, Sonnino propone il partito liberale di massa: cfr. ((http://www.cielilimpidi.com/?p=382Archiviato il 15 ottobre 2008 in Internet Archive.)).
^Viene ripresa la numerazione dei Congressi del Partito Liberale dall'ultimo del 1924
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