L'opera venne realizzata da Annibale Carracci per l'altare maggiore della chiesa dei cappuccini di Parma[1] ed è elogiata da tutte le fonti antiche sul maestro bolognese[2].
La grande pala è una delle prime prove di Annibale fuori Bologna e la sua realizzazione è forse legata alla famiglia Farnese, che avrà un ruolo fondamentale nella successiva vicenda artistica del pittore. Furono proprio i Farnese, infatti, a promuovere l'insediamento a Parma e a Piacenza dell'ordine dei cappuccini, cui, dal duca Ottavio Farnese, nel corso degli anni settanta del Cinquecento, furono assegnate le chiese di Santa Maria Maddalena (oggi sconsacrata, a Parma) e di San Bernardino (oggi non più esistente, a Piacenza), delle quali il duca aveva finanziato anche i lavori di ristrutturazione[3].
Nel 1799, durante le soppressioni napoleoniche, la pala venne confiscata e portata a Parigi. Rientrò a Parma solo nel 1815 e l'anno dopo venne collocata in Galleria.
In occasione della mostra sui Carracci, organizzata a Bologna nel 1956, la grande tela fu restaurata e si rinvenne la data 1585, scritta in numeri arabi sulla pietra del sepolcro sotto la mano destra di Cristo, scoperta che confermò la datazione dell'opera già proposta dallo storico dell'arte Hermann Voss[3].
Descrizione e stile
Annibale Carracci con una sapiente costruzione dispone le figure principali della scena e i due angeli che sorreggono la Vergine come a comporre una specie di tableau vivant attorno al corpo inerme di Cristo, posto a sedere sul basamento del sepolcro e con il capo abbandonato sulle ginocchia della madre, che giace svenuta dietro di lui[3].
A destra, in primo piano, c'è la Maddalena, figura che allude all'intitolazione della chiesa dove si trovava in origine il dipinto. La presenza a sinistra di Francesco e Chiara d’Assisi si riferisce alla devozione per questi santi da parte dei cappuccini, committenti dell'opera[3].
Nella parte superiore della pala si apre uno squarcio di paradiso, da cui discendono figure angeliche recanti la croce, simbolo della vittoria di Cristo sul peccato, e il drappo bianco che ne annuncia l’imminente Resurrezione[3].
Come già rilevato dal Bellori, l'opera, al pari del contemporaneo Battesimo eseguito a Bologna[4], segna uno dei primi espliciti omaggi di Annibale verso l'opera del Correggio[5].
Nella Pietà fatta per i cappuccini, infatti, l'esuberanza degli angeli e le nubi dense e fluttuanti capaci di sostenerli e avvolgerli evocano da vicino gli affreschi della cupola del Duomo di Parma e la pala della Madonna della Scodella.
Inoltre, in quest'opera, Annibale si confronta per la prima volta con il Compianto Del Bono dell'Allegri, dipinto che costituirà un punto di riferimento costante per il più noto dei Carracci, citato più volte negli anni successivi, sia in opere pittoriche che in incisioni[4].
I riferimenti a Correggio sono così evidenti da rendere verosimile l'ipotesi che il dipinto sia stato eseguito direttamente a Parma, sotto il diretto influsso del maestro rinascimentale.
La critica contemporanea ha descritto l'opera come una delle più innovative del suo tempo, scorgendovi già delle avvisaglie proto-barocche[6]: Andrea Emiliani, per esempio, ha definito la Pietà di Parma come «il dipinto più moderno d'Europa»[7], mentre Eugenio Riccomini ha sottolineato come nel quadro si manifesti «un nuovo epos cristiano»[8].
Nel Museo dell'Ermitage è custodita una Pietà con santi, attribuita ad Agostino Carracci, molto vicina all'opera parmense di Annibale, che in passato fu assegnata a quest'ultimo[9].
Uno studio preparatorio di Annibale per la pala di Parma, raffigurante il Cristo in Pietà, si trova nel Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi.
Recenti studi hanno messo in relazione al dipinto parmense anche tre ulteriori disegni, tutti attribuiti a Ludovico Carracci (rispettivamente conservati presso la Christ Church Picture Gallery ad Oxford, il Nationalmuseum di Stoccolma e lo Statens Museum for Kunst di Copenaghen, dei tre, quest'ultimo quello più vicino alla tela della Galleria).
Se ne è dedotto che Annibale possa aver goduto, per questo importante esordio fuori Bologna, dell'aiuto del più esperto ed anziano cugino. In ogni caso il più giovane dei Carracci si sarebbe parzialmente discostato, nell'esecuzione definitiva, dai suggerimenti di Ludovico per abbracciare modi più decisamente correggeschi[10].
^Come oggi in Galleria nazionale, in chiesa la tela era affiancata da due quadri di Ludovico Carracci raffiguranti San Luigi IX, re di Francia e Santa Elisabetta d'Ungheria, langravia di Turingia.
^Francesco Scannelli, Il microcosmo della pittura, 1657; Carlo Cesare Malvasia, Felsina Pittrice, 1678, Giovanni Pietro Bellori, Vite de' pittori, scultori e architetti moderni, 1672. Quest'ultimo inoltre dà conto anche delle decise lodi rivolte alla Pietà di Parma da parte di Federico Zuccari, al tempo uno dei pittori più in voga d'Italia.
^abcdeDaniele Benati, in Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007 (a cura di D. Benati e E. Riccomini), Milano, 2006, p. 174.
^abDonald Posner, Annibale Carracci: A Study in the reform of Italian Painting around 1590, Londra, 1971, Vol. I, pp. 29-32.
^Così il Bellori nelle sue Vite (1672) a proposito della pala parmense: «Non si può dire a bastanza quanto Annibale s'internasse e si facesse proprie le migliori parti del Correggio, così nella disposizione e ne'moti delle figure, come nel dintornarle e colorirle con la dolce idea di quel gran maestro».
^Questa in particolare è la visione di Denis Mahon che, riferendosi al dipinto di Parma, afferma: «there is a sense in wich it can be claimed as the first baroque picture», cfr. Studies in Seicento Art and Theory, Londra, 1947, p. 274.
^Donald Posner, Annibale Carracci: A Study in the reform of Italian Painting around 1590, Londra, 1971, Vol. II, N. 24, pp. 12-13.
^Sulla questione cfr. Stefano Pierguidi, I Carracci e il tema della Pietà. Alcune considerazioni, in Studi di storia dell'arte, XVIII, 2007, pp. 265-272.
Bibliografia
Corrado Ricci, La Regia Galleria di Parma, Parma, 1896
Angela Ghilardi, Scheda dell'opera; in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere, il Cinquecento, Milano, 1998
Eugenio Riccomini, Dopo Correggio: appunti sulla pittura a Parma dal Correggio ad Annibale Carracci, in Emilian Painting of the 16th and 17th Centuries, Bologna, 1987
Lucia Fornari Schianchi, Come si forma un museo: il caso della Galleria Nazionale di Parma; in Fornari Schianchi (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere dall'Antico al Cinquecento, Milano, 1997
Alberto Crispo, L'arte nelle chiese e nei conventi cappuccini del ducato farnesiano, in I cappuccini in Emilia Romagna. Storia di una presenza, a cura di Pozzi e Prodi, Bologna 2002, pp. 410–434
Daniele Benati, scheda dell'opera nel catalogo a cura di D. Benati ed E. Riccomini Annibale Carracci, Electa, Milano, 2007, pp. 174–175.