Tiberio Pacca (Benevento, 31 agosto 1786 – Napoli, 29 giugno 1837) è stato un funzionario italiano dello Stato Pontificio, sostenitore della Restaurazione.
Biografia
Nacque nel 1786 a Benevento da Giuseppe Pacca, marchese della Matrice; era inoltre nipote del cardinale Bartolomeo Pacca. Dopo un breve periodo di studio a Roma, nel 1795, proprio al seguito dello zio, si recò nel regno del Portogallo dopo la nomina di Bartolomeo a nunzio apostolico; rientrato a Roma nel 1802, tornò in Portogallo nel 1803 come ablegato pontificio per comunicare la nomina a cardinale a Miguel Carlos José de Noronha e Abranches.[1]
Nel 1809 Napoleone ordinò l'arresto di papa Pio VII e dello zio Bartolomeo Pacca, e Tiberio li seguì nella prigionia, anche se presto venne separato da loro. Rimase prigioniero nel forte di Fenestrelle fino al 1811 e durante la prigionia ebbe da una ragazza locale un figlio illegittimo di nome Giovanni, che non riconobbe mai.[1] Dopo un breve periodo di residenza a Mantova, col repentino crollo dell'impero napoleonico nel 1814 si riunì a Pio VII a Cesena, venendo nominato protonotario apostolico e poi delegato apostolico a Viterbo, nonostante non fosse chierico.[1]
Rientrato nello Stato Pontificio, fu uno dei più zelanti ufficiali papali della Restaurazione e purgò l'amministrazione di Viterbo e Civitavecchia dei collaborazionisti napoleonici.[1] Pose inoltre serrati controlli al porto di Civitavecchia, intercettando parte dei carteggi segreti di Napoleone, allora in esilio all'isola d'Elba e che stava progettando la propria fuga, che sarebbe risultata nei Cento giorni.[1] Dopo la definitiva sconfitta di Napoleone e il congresso di Vienna, venne inviato a pacificare l'Emilia-Romagna, stroncando una rivolta a Rimini nel 1816.[1] Rientrato a Roma, si occupò di organizzare la neonata gendarmeria pontificia per incarico del suo protettore, il cardinale Ercole Consalvi.[1]
Durante la Restaurazione si occupò di mantenere l'ordine pubblico nello Stato Pontificio, dando una caccia spietata alle società segrete e ai loro capi, tanto che il Metternich si lamentò del suo eccessivo zelo, temendo rivolte in conseguenza delle sue eccessive repressioni.[1] Nel 1817 venne stanziato a Frosinone per contrastare il brigantaggio dilagante nella Ciociaria e tra il 1818 e il 1819 tornò a Roma e contribuì a riformare l'apparato amministrativo-finanziario romano.[1]
Giunto all'apice del suo potere, molti, tra cui Consalvi, spingevano per la sua nomina a cardinale, ma Tiberio Pacca non era disposto a diventare un ecclesiastico. Questa indisponibilità e alcune accuse di corruzione lo spinsero a rinunciare a tutti gli incarichi nel 1820 e a recarsi in esilio a Parigi, mantenendosi grazie ad un sussidio inviatogli dallo zio.[1] Nel 1824 sposò con rito civile Marie-Madeleine Joussot e nel 1827 rientrò a Roma, sperando in una posizione nell'amministrazione del nuovo papa Leone XII; sfumata questa possibilità perché ormai isolato nella complessa politica romana, si trasferì a Milano.[1] Dalla capitale lombarda cercò di persuadere poi per lettera il nuovo papa Pio VIII a sostenere i suoi ambiziosi progetti di riforma dello Stato Pontificio, ma senza successo.[1]
Nel 1833 si trasferì a Torino e venne nominato amministratore dei beni del marchese Eugène de Laval-Montmorency. Entrò poi nell'amministrazione del regno di Sardegna, ma venne presto licenziato a seguito di un intrigo per screditare i moderati della corte di re Carlo Alberto.[1] Ancora una volta esiliato, riparò prima a Firenze e infine a Napoli, dove si ritirò a vita privata e morì durante un'epidemia di colera nel 1837.[1]
Note
Collegamenti esterni
- Pacca, Tiberio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Walter Maturi, PACCA, Tiberio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1935.
- David Armando, PACCA, Tiberio, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 80, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2014.