Con il toponimo Valpolicella si indicano comunemente: le tre vallate dei torrenti (chiamati in dialetto "progni") che scendono dai Lessini a occidente di Verona, i monti che le separano e una larga zona d'alta pianura terrazzata che accompagna l'Adige dalla chiusa di Ceraino (presso Rivoli Veronese) fino a Parona. I confini verso monte sono incerti: è assente un limite naturale tra la Valpolicella e la Lessinia, dato che la prima è una regione per motivi storici più che geografici. Geograficamente si potrebbe intendere come confine il bacino del progno di Fumane fino al monte San Giovanni, includendo quindi Breonio ed escludendo parte di Sant'Anna d'Alfaedo.
Vista della Valpolicella collinare da Gorgusello (nel comune di Fumane)
Nella Valpolicella si possono distinguere tre zone, nettamente diverse per natura morfologica, geologica e per la vegetazione presente. La parte posta più a nord è caratterizzata da una zona montuosa (costituita da calcaricretacei) che va a formare l'ampio pianoro dei Lessini. Qui sono presenti ampi prati dove in estate è facile trovare capi di bestiame portati al pascolo. La zona è povera di grandi corsi d'acqua; ciononostante il paesaggio risulta diviso in gradini e ripiani alternati da cavità carsiche scavate nel corso di millenni.
La zona collinare, disposta subito più a sud di quella montana, è formata da propaggini meridionali parallele ai monti che, con dossi allungati, vanno a dividere le già citate tre valli dei progni. Questa zona è quella più classica per la coltivazione della vite, che avviene spesso su particolari terrazze artificiali realizzate in pietra e denominate (nel dialetto veneto) "marogne". Nella zona più bassa è coltivato intensamente anche l'ulivo. Come nella zona montana, anche qui sono presenti calcari cretacei costituiti da ampi strati di basalto.
Veduta da Castelrotto con uliveti e vigneti verso: Pedemonte, Arbizzano, Cengia, Campagnole, Quar e Montericco
Nella parte più meridionale della Valpolicella troviamo una zona pianeggiante venutasi a formare dai sedimenti delle alluvioni, sia del fiume Adige che da quelle dei tre progni. La recente bonifica e l'opera d'irrigazione ne hanno fatto un luogo fertile che vanta coltivazioni di ortaggi, pescheti e ciliegeti di grande pregio, oltre che dei classici vigneti.
A partire dal 1950 il paesaggio della valle è stato teatro di radicali trasformazioni, dovute a un'intensa e disordinata attività edilizia conseguente alla crescita economica e industriale del dopoguerra. Comuni locali e soprintendenza hanno fatto ben poco per attenuare e regolamentare questo fenomeno che ha rappresentato un vero sfregio per la bellezza della vallata e che ancora oggi la minaccia[3].
Panorama della bassa Valpolicella
La parte della Valpolicella che più ha pagato questa "cementificazione" è stata quella mediana. Essa è attraversata dalla strada provinciale sul percorso Parona-San Pietro in Cariano-Sant'Ambrogio, appartenente al primo tratto della soppressa ferrovia Verona-Caprino-Garda. La strada, studiata inizialmente perché fosse un'arteria di interesse panoramico e turistico, ha visto sorgerle a ridosso costruzioni di ogni tipo e destinazione. Anche la collina non è rimasta immune al problema: a Negrar, in particolare, sono sorte alcune vaste zone residenziali che ne hanno snaturato il paesaggio, tanto da arrivare a far coniare il neologismo "negrarizzazione" a indicarne il fenomeno[4].
Geologia
Il primo periodo in cui si può classificare la storia geologica della valle è quello definito come "marino" ed è datato oltre 100 milioni di anni fa. A questa fase risalgono i vari depositi calcarei, di diverse colorature, ricchi di reperti fossili. Questi depositi hanno poi reso possibile la formazione dei marmi che oggigiorno vengono qui estratti[5].
Nel secondo periodo si verifica l'emersione delle terre dal mare: è caratterizzato, nello strato inferiore da calcari compatti (oggi utilizzati per la produzione di cemento) mentre in quello superiore da pietre, ricche anch'esse di fossili, le cosiddette "pietre di Prun"[6]. L'intensa attività vulcanica dell'era terziaria origina a diversi strati di tufi e basalti.
Proprio a seguito del periodo dell'emersione delle terre, durato oltre 20 milioni di anni, la morfologia del territorio si evolse. Il successivo periodo neozoico, grazie al fenomeno delle glaciazioni, contribuì al modellamento e alla sagomatura delle colline. Fondamentale anche l'azione del fiume Adige che, grazie a vaste alluvioni, creò dei depositi superficiali; e infine l'erosione, compiuta dai numerosi torrenti, originò diverse strette insenature nella roccia, il cosiddetto "vaio".
Idrografia
A sud, la Valpolicella è delimitata dal fiume Adige, che rappresenta il maggior corso d'acqua della zona. La valle è poi caratterizzata dalla presenza di numerosi progni, dalla portata incostante nel corso dell'anno, che nei millenni hanno partecipato alla modellazione delle valli che la compongono.
La valle di Fumane è percorsa dal progno di Fumane (che si forma dal vaio di Vaiara e dalla sengia Canala, localizzati sopra Molina e dal progno di Spiazzo e dal rio di Mondrago) a cui si aggiunge il torrente che scorre nel vaio di Lena che scende da Cavalo. Nella vallata di Marano e di Negrar troviamo i relativi e omonimi progni che raccolgono le acque provenienti da numerosi corsi d'acqua posti nell'alta Valpolicella[7].
Clima
Il clima della Valpolicella è complessivamente buono durante tutto il periodo dell'anno, soprattutto durante la stagione invernale, grazie alla protezione a nord dei monti Lessini e alla buona esposizione al sole verso sud, tanto da farlo avvicinare molto a quello di tipo mediterraneo, testimoniato dalla presenza di numerosi cipressi ed ulivi. Le peculiarità climatiche del luogo sono certamente influenzate dalla sua conformazione fatta di valli poste in una direzione nord-sud.
Nei mesi invernali la temperatura generalmente risulta più bassa nelle zone pianeggianti rispetto alla collina e raramente scende di molti gradi sotto lo zero. D'estate le temperature massime si aggirano mediamente tra i 25-30 gradi e le minime tra i 18 e i 20, con una lieve differenza tra la collina, generalmente più fresca e ventilata, e la zona pianeggiante[8].
La piovosità annua è di 850 mm circa nella zona più pianeggiante, di 1.200 mm circa nella zona tra i 500 ed i 700 m e infine di 1000 mm circa nella zona montana[10]. Le precipitazioni sono concentrate soprattutto in primavera e autunno, mentre in estate si possono verificare intensi fenomeni temporaleschi, talvolta accompagnati da grandine. La neve è rara e generalmente non si mantiene a lungo.
I venti invernali dominanti sono la bora, che soffia da nord-est, e lo scirocco, proveniente da sud-est. Talvolta si sperimenta anche il vento di föhn, caratterizzato da raffiche molto elevate. D'estate si hanno, di norma, leggere brezze.
Toponimo
Il significato del nome "Valpolicella" non è certo ed è stato oggetto di svariati dibattiti lungo i secoli. Una delle ipotesi fatte è che derivi dal latinoVallis-polis-cellae, parola composta dal latino "vallis", valle, e dalla parola greca poli, suffisso che significa molti, e dalla radice kell, comune al greco, kelarai, al latino, cella, ma anche al tedesco, keller, che significa cantina, che quindi tradotto letteralmente significa "valle dalle molte cantine"[11]. In realtà, però, il termine non compare prima del XII secolo; infatti fino allora si parla sempre di una Valpolicella divisa in due grandi territori: la val Veriago (la parte più orientale con Negrar) e la val Pruviniano (la parte centrale). I primi documenti (1177), inoltre, riportano la dicitura "polesela", senza la "c" dell'ipotetica etimologia latina "cellae". Il toponimo, quindi, è forse originato dal fatto che i funzionari del Comune di Verona, incaricati della amministrazione della valle, arrivavano lungo l'Adige fino a Pol (Santa Lucia di Pescantina) e da lì poi si spostavano poi negli altri paesi vicini: da qui deriverebbe quindi Valpolesela, cioè valle di Pol[12].
Molto affascinante, ma priva di un reale fondamento storico, è l'etimologia proposta dagli umanisti che la ricercarono nella lingua greca e più precisamente nella parola polyzelos nella sua traduzione più recente di terra "dai molti frutti" o, per i più classici, "molto invidiata". Oppure potrebbe risultare dall'unione di poly = molto e sèlas = splendore, cioè "molto splendida".
Giangiacomo Pigari propose un'etimologia tanto originale ed anomala, quanto sconcertante: curando infatti la raccolta latina dei Privilegia et Jura Communitatis et Hominum Vallis Pulicelle (1588)[13], pose nel frontespizio lo stemma del Vicariato della Valpolicella che raffigurava una fanciulla inginocchiata e pregante (ora stemma del comune di San Pietro in Cariano). Notò così che la fanciulla era appunto la pulcella (in latino volgare: pulicella ), nome che presenta non poche affinità con Vallis Pulicelle. Bisogna però considerare anche l'ipotesi che lo stemma con la fanciulla fosse nato in relazione a questa somiglianza e non viceversa.
Due secoli dopo, Gabriele Dionisi[14], propose una doppia derivazione dal greco (poly = molto) e dal latino (cella = custodia) e cioè "custodia di molto", ricondotta alla fecondità e all'abbondanza.
La spiegazione che oggi però trova maggior credito è quella data da Giuseppe Toniolo, che riconduce il nome Pulicella a pullus, la cui radice pol dà luogo a numerosi derivati: pullicu, pulliceu, pullicinu, propri dei luoghi boscosi, ricchi di germogli e vegetazione, fiorenti su cumuli di ghiaia o sabbia che si trovano lungo i corsi dei fiumi. Ma questa caratteristica è propria della Valpolicella solo in pochi punti lungo l'Adige, e a detta dello stesso Toniolo rende «molto incerta la spiegazione del perché tale nome si sia esteso a zone assai distanti e diverse dalla primitiva»[15].
Lo stesso Luigi Messedaglia si è dichiarato scettico di fronte a tale spiegazione: «Non sarei sincero ove affermassi che la etimologia modernamente ammessa mi lascia del tutto soddisfatto. Non arrivo infatti a persuadermi facilmente come un accidente locale (se non trascurabile, certo di non primaria importanza) o una caratteristica morfologica che dir si voglia, della ristretta zona lungo l'Adige, abbia potuto dare il suo nome, per estensione, a tutta una vasta regione, di cui la maggior parte, lontana dall'Adige, è collinare e montana»[16].
In realtà la spiegazione di Toniolo è perfettamente pertinente se si tiene conto della cronologia delle prime attestazioni (un atto privato del 1171 e due successivi diplomi di Federico I), coincidente con una fase di riorganizzazione del territorio da parte del Comune di Verona che si espliciterà in un preciso programma politico manifestato nel 1183 in un elenco dei villaggi ad esso soggetti ("nomina villarum que distringuebantur et ad presens distringuntur": "nomi dei villaggi che erano e sono soggetti al distretto"). È appunto tale ottica "urbana", di persone che accedevano alla Valpolicella attraverso la via dell'Adige, a spiegare l'introduzione di questa denominazione[17]
Storia
Preistoria
La Valpolicella, trovandosi in una posizione geografica favorevole (a metà strada tra Pianura Padana e Alpi, nonché vicino al fiume Adige) è sempre stata sia un'importante via di comunicazione che un favorevole luogo d'insediamento. Ritrovamenti archeologici hanno dimostrato la presenza dell'uomo fino dall'età della pietra; tra questi, la scoperta di una grotta nei pressi di Fumane, che fu abitata dall'uomo di Neanderthal e che oggi viene chiamata riparo Solinas, dal nome del suo scopritore[12].
Le ricerche, iniziate nel finire XIX secolo[18] hanno permesso di portare alla luce ulteriori insediamenti preistorici; in particolare ne sono state trovate tracce presso il "vaio dei Falconi", in località "Archi" a Castelrotto, nei còvoli del vaio della Marchiora e presso le "Scalucce"[19] nei pressi di Molina. In quest'ultima, sono stati trovati reperti archeologici che confermano la presenza di uomini dalla fase media del neolitico (cioè a circa 3.000 a.C.) fino all'età del bronzo, con un'intensa occupazione nel periodo che va dal 2500 al 2000 a.C.
Durante l'età del bronzo e l'età del ferro tutte le colline circostanti vennero "colonizzate", e la Valpolicella visse un periodo di grande splendore, grazie alla produzione e al commercio di selce[12]. Di questo periodo si hanno svariati ritrovamenti che includono, in particolare, casette e piccoli centri abitati. Degna di nota fu anche la scoperta di un antichissimo villaggio situato presso il monte Loffa, che contava ventisette capanne composte di lastre di pietra[20]. All'interno di esse furono identificati numerosi oggetti di interesse archeologico, quali: armi, utensili e vari oggetti di selce, bronzo e ferro[21]. Studi condotti sul sito hanno permesso di poterlo considerare come il punto di congiunzione tra preistoria e storia, giacché per la prima volta le popolazioni neolitiche che popolavano la valle si erano raggruppate in un ampio villaggio, edificando capanne e abitandole in maniera continuativa[22].
Storia antica
Durante la dominazione romana, iniziata attorno al II secolo a.C., la Valpolicella era abitata dagli Arusnati, popolazione di probabile origine etrusca o comunque italica[23], che vi si stanziò nella zona già a partire dal V secolo a.C. Le tracce lapidarie che ci testimoniano l'esistenza di questo popolo sono oggi custodite a Verona, presso il Museo lapidario maffeiano e nel museo annesso alla pieve di San Giorgio di Valpolicella. Proprio nei pressi dell'antica pieve, sono stati trovati frammenti di più di 200 statuette votive in terracotta rappresentanti divinità, offerenti e animali, attribuibili alla popolazione pre-romana.
Testimonianze dell'epoca romana
Una delle più interessanti scoperte dell'epoca romana effettuate in Valpolicella è stata quello di un acquedotto. Il suo ritrovamento risale al 1888, presso Parona, durante gli scavi per la galleria ferroviaria della Verona-Caprino-Garda. Esso portava le acque dalla rigogliosa località Novare (nei pressi dell'attuale Arbizzano nel comune di Negrar) verso l'acquedotto di Santa Cristina che poi proseguiva verso la città di Verona, entrando da circa dove ora è presente il Ponte Garibaldi. Un altro importante ritrovamento è quello dei resti di una villa patrizia del III secolo d.C. (detta "villa dei mosaici"), avvenuta sulle colline di Negrar (in località Corteselle di Villa), che ci ha lasciato dei bellissimi mosaici, ora custoditi nel museo del teatro romano). Questo ci lascia supporre che la Valpolicella fosse luogo di villeggiatura fin da tempi antichissimi[24].
Oltre a questi reperti, la Valpolicella è ricca di altre testimonianze[25] dell'epoca romana che ci permettono di stabilire che l'intero territorio era abitato da una popolazione piuttosto avanzata e formata da famiglie patrizie e latifondiste. Molti nomi attuali di paesi prendono origine da queste famiglie[26]. È stata inoltre trovata una pietra miliare, presso Arbizzano, che autorizza a pensare che da qui passasse la via Claudia Augusta padana, anche se non si è riusciti a ricostruirne con precisione l'esatto tragitto.
Nonostante fosse sottoposta all'impero romano, la Valpolicella poté godere di una forte autonomia amministrativa che conservò per molta parte della sua storia. Proprio in questo periodo si ha notizia dell'inizio della coltivazione della vite[12]. Il territorio era al centro di una ricca e fiorente economia, come testimoniano i ritrovamenti di due ville romane, una a Negrar (dotata di un ampio salone e di un prezioso mosaico), l'altra a San Pietro in Cariano.
Storia medievale
Nel corso delle invasioni barbariche, la Valpolicella subì un declino minore rispetto a quello generale, grazie alle peculiarità del luogo. Nonostante la crisi generale, il suo vino era ormai famoso e molto richiesto; ne abbiamo, infatti, notizia da Cassiodoro, funzionario di re Teodorico il Grande[27]. Durante il periodo Longobardo, Castelrotto, che allora si chiamava Castrum rotharii, vantava una notevole importanza militare, come lo testimoniano le vestigia di un castello, datato intorno all'anno 1000, ma probabilmente di origini anche più antiche[28]. Esso risultava essere messo a capo di una sculdascia, ovvero una circoscrizione minore in ambito ducale, dotata di un ampio potere[29]. Un importante lascito dell'era longobarda è rappresentato dal pregevole ciborio conservato nella pieve di San Giorgio, realizzato probabilmente sotto il regno di Liutprando[30].
In alcuni documenti dell'VIII secolo inizia a comparire il nome di Pruvianense o Pruviniano a indicare la zona attualmente conosciuta come Valpolicella. La valle di Pruviniano, intesa come zona amministrativa, non comprendeva però la vallata dell'attuale Negrar, che era invece chiamata valle di Veriago. Bisognerà aspettare il XII secolo perché su documenti ufficiali compaia la dicitura Val Polesèla ad indicare gli attuali confini[31].
Già dal IX secolo, la Valpolicella aveva iniziato la sua ripresa economica e sociale e attorno al primo millennio risalgono le prime testimonianze di signorie e castelli. In questo periodo sorgono monasteri e istituti religiosi che qui possono trovare pace e tranquillità. La già citata Pieve di San Giorgio serve come parrocchia ed è anche sede di una collegiata di sacerdoti che gestisce un seminario[32]. Nell'XI-XII secolo un altro centro della cristianità valpolicellese è presso la pieve di San Floriano, ulteriore splendido esempio di architettura romanica giunta in buono stato fino a noi.
In documenti risalenti al 1145 e 1154, il territorio della valle appare diviso, amministrativamente, in "piovadeghi" a cui faceva riferimento una pieve. Le quattro pievi della zona esistenti all'epoca erano quelle delle già citate di San Floriano e San Giorgio, alle quali si aggiungevano quelle Negrar e Arbizzano, quest'ultima assai meno importante tanto da non costituire un piovadego a sé stante. Diversamente, Negrar e San Giorgio formavano un'entità economico-militare molto potente e autonoma; erano infatti dotate di un proprio castello, nel quale ne potevano disciplinare l'uso e la difesa[33].
Nel 1276, sotto il dominio di Mastino della Scala, la Valpolicella risulta essere una delle sei contrade che, in caso di necessità, dovevano accogliere un "capitano" da Verona e non eleggerlo da sé (come probabilmente era consuetudine); segno, questo, di un'autonomia in leggero declino[34].
Caduta nel 1387 la signoria degli Scaligeri, la Valpolicella fu per un breve periodo dominata dai Visconti che la divisero in "vicariati". Terminata nel 1404 la dominazione viscontea, e dopo un brevissimo dominio dei carraresi, la Valpolicella passa sotto il controllo della Serenissima, con la dedizione di Verona a Venezia, avvenuta il 22 giugno 1405. Nel passaggio di poteri tra carraresi e veneziani, alleati, questi ultimi, con Francesco Gonzaga, nella zona si verificarono alcuni scontri armati, che coinvolsero in particolare Pescantina e Castelrotto (dove fu incendiato e distrutto definitivamente il castello ivi presente).
La Serenissima riconfermò alla popolazione della valle tutti i diritti e privilegi che le erano stati concessi durante il periodo scaligero, garantendole così una propria autonomia amministrativa e l'esenzione da alcuni gravami fiscali[35][36]. Il territorio della provincia veronese fu mantenuto diviso in vicariati, di cui uno era comprensivo di tutta la Valpolicella. Quest'ordinamento rimase inalterato fino alla fine della repubblica veneziana, anche se i vicariati mutarono più volte, sia per numero che per estensione e composizione[37]. In linea con l'autonomia concessa, alla popolazione valpolicellese fu permesso di poter eleggere il proprio vicario. Tutte queste benevolenze erano suggerite dal fatto che la Valpolicella rappresentava, per i domini veneziani, un territorio di confine con il Trentino, e perciò la fedeltà dei suoi abitanti era considerata una necessità per la sicurezza degli strategici passi montani dei Lessini e della chiusa di Ceraino. Questa politica pagò notevolmente quando, nel 1439, la popolazione valpolicellese, guidata dal vicario Jacopo Marani, si distinse nella guerra contro la Milano dei Visconti e grazie all'incorruttibile esercito di oltre mille uomini posti a presidio della chiusa di Ceraino difese i confini della repubblica dalla minaccia[26][38].
Tornando al territorio del Vicariato valpolicellese, esso risultava essere a sua volta suddiviso, secondo l'amministrazione religiosa, in tre "piovadeghi" corrispondenti ai luoghi dove era presente una Chiesa Madre, cioè dotata di fonte battesimale; esse erano: "San Giorgio", "San Fioran" e "Nègrar"[39]. Questa suddivisione, peraltro, era già una consuetudine nei secoli precedenti.
Il vicariato era sorretto da un proprio statuto che, pur subendo alcune inevitabili modifiche nel corso degli anni, si può ritenere che nella sostanza sia rimasto sempre lo stesso[40]. Il Vicario era la massima autorità del luogo: coadiuvato da due notai, uno per le cause civili e uno per le penali, amministrava la giustizia in nome della Repubblica, e inoltre presiedeva gli estimi.[41][42].
La carica di Vicario durava un anno. L'ufficio veniva assunto il 2 febbraio dopo una solenne cerimonia che, partendo da Verona, arrivava alla sede del Vicariato in pompa magna a San Pietro in Cariano (sede del Vicariato), dove il designato riceveva dal predecessore la bacchetta del governo[43]. Per il suo incarico, il Vicario percepiva una retribuzione di 50 ducati[44]. I Vicari provenivano esclusivamente dalla città di Verona e solitamente appartenevano alle famiglie patrizie veronesi con possedimenti nella vallata. Sulla facciata del vecchio palazzo comunale di San Pietro in Cariano si possono notare ancora gli stemmi di alcuni vicari, oltre alle insegne del vicariato stesso[45][46].
In ordine di importanza amministrativa, dopo il Vicario veniva il "Sindaco". Egli, insieme a un consiglio di diciotto elementi (sei per ogni piovadego), rappresentava gli interessi della valle e della sua popolazione. Il Sindaco rimaneva in carica per tre anni. Ogni comune possedeva una sua piccola amministrazione, definita vicinia, con appartenenti i rappresentanti del capoluogo (massari) e delle frazioni (ville). Tutti i membri, ad eccezione del Vicario che apparteneva alla città di Verona, erano nativi e residenti nella valle, ed erano retribuiti per lo svolgimento delle mansioni proprie del loro ufficio[47][48],
Secondo un manoscritto anonimo del 1600, la Valpolicella si estendeva per una circonferenza di 25 miglia comprendendo ventisette "ville" o comuni, saliti poi a ventotto nel 1775, grazie alla costituzione del comune di Ospedaletto.
Nel 1576 e nel 1630 la valle, come il resto del nord Italia, fu duramente colpita dalle epidemie di peste che, oltre a mietere numerose vittime, gravò pesantemente sull'economia.
L'epoca veneziana è ricordata anche per il fiorire di ville venete signorili che caratterizzano ancora oggi il territorio valpolicellese. Il luogo ameno, la vicinanza con la città e la presenza di numerose attività agricole fecero sì che molti signori veronesi edificassero una propria residenza in queste zone, spesso adiacenti ai grandi latifondi di loro proprietà.
I quattro secoli di dominazione della Serenissima rappresentarono un periodo di grande prosperità e tranquillità, che videro crescere un diffuso benessere, seppur interrotto da brevi e radi conflitti. L'invasione francese del 1796, che fece cadere la Repubblica, rappresentò per la sorte della valle una brusca svolta.
Nel 1796 l'esercito francese, con a capo Napoleone Bonaparte, conquistò Verona e pose la Valpolicella sotto il suo dominio. La popolazione ebbe comunque modo di dimostrare la sua fedeltà alla Serenissima offrendo «tutti i suoi abitanti atti a maneggiare un fucile»[49] in quell'insurrezione che prenderà il nome di pasque veronesi. La rappresaglia francese che scaturì dopo il fallimento della rivolta fu spietata e tra i giustiziati furono presenti alcuni valpolicellesi illustri, tra cui i conti Augusto Verità e Francesco Emilei[50].
In seguito al trattato di Campoformio, che decretava la scomparsa della repubblica di Venezia, venne soppresso il Vicariato della Valpolicella, e il territorio fu trasformato in uno dei dieci distretti in cui era divisa la provincia di Verona. Il vicariato venne però ristabilito per un breve periodo in seguito alla cessione del Veneto all'Austria, per poi scomparire definitivamente in seguito alla pace di Presburgo del 1805, quando tutto il Veneto tornò sotto il dominio napoleonico. Questo significò il tramonto dell'autonomia e dei privilegi che la popolazione valpolicellese aveva potuto godere per gran parte della sua storia.
In seguito alla Restaurazione e al Congresso di Vienna del 1814-15, la valle passò stabilmente sotto il controllo dell'impero austro-ungarico. Il cambio di dominazione fu salutato con soddisfazione dalla maggior parte della popolazione[51], e portò ad un rinnovamento amministrativo ed economico a partire dal miglioramento delle vie di comunicazione.
Verso la metà del XIX secolo i moti risorgimentali arrivarono anche in Valpolicella. Fin dalla prima guerra di indipendenza, mentre le fasce deboli della popolazione erano a favore del dominio austriaco e si dimostravano alquanto fredde verso le nuove idee patriottiche, i nobili furono animati da ideali politici di stampo maggiormente liberale[51]. Ma nel 1851 la popolazione si trovò a far fronte a problemi più “locali”, quando i vigneti della valle furono colpiti dallo oidio, e i bachi da seta dal calcino che, insieme ai rigidissimi inverni del 1854 e 1855, resero duri gli ultimi anni del dominio asburgico.
Nel 1866, in seguito alla terza guerra di indipendenza, il Veneto venne annesso al Regno d'Italia. Il periodo successivo fu caratterizzato da una pesante crisi economica che dette origine al fenomeno dell'emigrazione e vide numerosi valpolicellesi costretti a spostarsi all'estero alla ricerca di un lavoro (vedi emigrazione veronese). L'economia della zona subì un ulteriore colpo nel 1880 quando le viti furono colpite da una dilagante peronospora.
Nel 1899 fu inaugurata la ferrovia Verona-Caprino-Garda che rendeva molto più veloce il collegamento della valle con la città e segnò la rinascita dell'economia locale. Comparvero le prime macchine agricole, sebbene fossero difficilmente utilizzabili negli irregolari territori collinari.
Storia contemporanea
Negli anni a cavallo del XX secolo si accentuò un fenomeno in essere già da molto tempo: una profonda trasformazione fondiaria, che produsse un grande frazionamento della proprietà terriera[52]. Tale evento, concomitante all'introduzione di nuove tecniche agricole e alla promozione di una gestione aziendale più moderna, apportò un miglioramento sostanziale dell'economia.
Lo scoppio della prima guerra mondiale chiamò al fronte molti giovani della Valpolicella, che diedero un cospicuo contributo di sangue alla patria. Durante il periodo bellico l'economia riuscì comunque a trarne alcuni vantaggi: in particolare, i piccoli produttori agricoli videro accrescersi i propri guadagni, dovuti all'innalzamento dei prezzi dei prodotti delle campagne e alle incessanti richieste provenienti dal fronte[53].
Nel 1927, nel periodo dell'Italia fascista, a seguito di una nuova riforma amministrativa[54], i comuni della Valpolicella vengono ridotti a 6: Fumane, Sant'Ambrogio, Marano, Negrar, San Pietro in Cariano e Pescantina[55]. La popolazione conta circa 39.000 abitanti e la densità è di 230 persone per km²[56]. Il 60% della popolazione è dedita all'agricoltura e il 95% del territorio è considerato produttivo[57].
Durante la seconda guerra mondiale, la Valpolicella fu, per la prima volta nella sua storia, teatro di eccidi e distruzioni. Dopo l'8 settembre 1943 la valle, come gran parte dell'arco alpino, fu occupata da truppe della Germania nazista. Vennero requisite ville, edifici privati e scuole. Nei mesi successivi la ferrovia e la strada del Brennero furono oggetto di numerosi bombardamenti da parte alleata. L'imprecisione delle bombe sganciate dagli aerei fece numerosi danni, e causò diversi morti e feriti tra la popolazione civile[58]. Tra i molti luttuosi eventi avvenuti in quegli anni si ricordano il bombardamento avvenuto il 6 novembre 1944, che causò trentatré vittime e decine di case distrutte a Domegliara, e la notte del 25 aprile 1945 quando i tedeschi, ormai in fuga, fecero esplodere una polveriera presso Corrubbio (sul monte Sausto), causando 29 morti e la distruzione di decine di case[59].
Al termine della guerra, come nel resto d'Italia, i valpolicellesi iniziarono l'opera di ricostruzione. Fu necessario ricostruire, per la quasi totalità, ben quattro paesi. In breve si ristabilirono le vie di comunicazione, migliorandole e ampliandole. Intorno al 1960 venne realizzato un piano di rimodernamento della linea ferrotranviaria suburbana che portò, tra l'altro, alla soppressione della ferrovia Verona-Caprino-Garda. Parallelamente al miglioramento delle infrastrutture, la valle fu protagonista di una notevole crescita economica che continua ancora oggi, garantita sia dalla storica produzione di vino e di marmo, che dallo sviluppo della piccola e media industria conseguente al boom del dopoguerra.
La crescita delle vie di comunicazione e del benessere economico ha contribuito a far nascere numerose nuove zone residenziali, alcune di pregevole posizione e di alto valore economico, che hanno però snaturato il territorio con un'urbanizzazione giudicata da molti eccessiva[60].
La Valpolicella possiede delle zone climatiche molto varie; a ridosso delle colline, alcune aree sono caratterizzate da microclimi particolari e tipici, con presenza di flora e fauna che generalmente si trova a latitudini più basse[61].
Territorio e demografia
Tutti i sette comuni[1] che compongono la Valpolicella fanno parte della provincia di Verona. Al 2011 la popolazione complessiva era di 67.411 abitanti. Il centro più popoloso della valle è Negrar con 16.935 abitanti, seguito da San Pietro in Cariano con 12.930[62]. I più piccoli comuni sono quelli di Sant'Anna d'Alfaedo e di Marano, caratterizzati da un territorio che si può considerare già montano.
Urbanistica
L'urbanistica della Valpolicella è costituita prevalentemente da agglomerati urbani che coincidono con i capoluoghi, nonché da frazioni talvolta più popolose degli stessi. Nella parte montana sono presenti anche delle "contrade", ossia zone spesso isolate, formate da un gruppetto di case poste in un ambito rurale.
Le contrade valpolicellesi conservano ancora oggi l'aspetto delle antiche abitazioni contadine; è possibile ritrovare delle semplici costruzioni, atte sia a dare un semplice riparo agli abitanti[63], che a soddisfare le loro esigenze lavorative, disponendo di una modesta ma funzionale stalla con annesso granaio. Caratteristica di queste costruzioni è l'intensivo utilizzo della pietra, sia per i muri sia per i tetti, grazie ad un taglio in lastre relativamente sottili. Queste pietre fungono spesso anche da ornamento e delimitazione di proprietà e strade (se ne possono vedere molti esempi nell'alta Valpolicella e in Lessinia). Tipico di molte costruzioni rurali valpolicellesi è la presenza di una colombaia a forma circolare, talvolta (e anticamente) utilizzata anche per scopi difensivi[64].
La parte più pianeggiante della Valpolicella è invece costituita da agglomerati urbani che si sono sviluppati lungo le vie principali, in particolare sulla Strada Provinciale n.4 e sulla Strada Provinciale n.12 in direzione di Negrar. La tipologia costruttiva più comune è rappresentata da piccoli condomini e da case a schiera.
Da un punto di vista strettamente geografico, i comuni della Valpolicella sono:
La Valpolicella ha avuto un rapido incremento demografico successivamente al secondo conflitto mondiale, quando si è ritrovata a vivere un vero e proprio boom economico. La zona della bassa Valpolicella ne ha beneficiato maggiormente, perché sostenuta dal miglioramento delle vie di comunicazione e dalla creazione di aree industriali; nei comuni e frazioni montane si è assistito invece ad uno spopolamento che si è arrestato sul finire del secolo scorso, e ad un ripopolamento nel primo decennio del XXI secolo[65].
Crescita demografica complessiva degli abitanti della Valpolicella[66]
Arte e cultura
Arte
Il clima di pace e prosperità che ha caratterizzato quasi tutta la storia della Valpolicella è stato sicuramente propiziatorio del fiorire delle arti. Se del periodo storico antecedente l'anno mille ci sono rimaste ben poche testimonianze artistiche (fatta eccezione per il notevole ciborio presente presso la pieve di San Giorgio, di epoca longobarda), dall'Alto Medioevo in poi se ne possono trovare numerosi esempi.
Del patrimonio artistico e architettonico della valle fanno bella mostra gli edifici religiosi, ed in particolare le antiche pievi. Oltre alla già citata pieve di San Giorgio, nel comune di San Pietro in Cariano troviamo la pregevole pieve di San Floriano. Questa è datata intorno al XII secolo, sebbene edificata su precedenti luoghi di culto pagani, e presenta all'interno dipinti di autori settecenteschi. Interessante la chiesetta di San Martino di Corrubbio per il ciclo di affreschi, di cui oggigiorno rimangono solo alcuni frammenti. Altre pievi si trovavano a Negrar (con una bella e vetusta torre campanaria) e ad Arbizzano. Pregevoli anche alcune chiese parrocchiali edificate tra il XVIII e il XIX secolo. Tra il 1922 e il 1924Giuseppe Trecca progettò, in veste di architetto, la chiesa parrocchiale di Marano di Valpolicella, e dal 1924 diresse i lavori per la decorazione di quella di Fumane
Non si può parlare di architettura in Valpolicella senza parlare delle sue ville venete che, a partire dal XV secolo, sono qui sorte in gran numero. Oltre alla bellezza architettonica di queste opere (le progettarono architetti del calibro di Michele Sanmicheli e Andrea Palladio), spesso esse conservano al loro interno preziosi affreschi.
Per quanto riguarda la scultura, degno di nota è Innocenzo Fraccaroli, nato nel 1805 a Castelrotto, che svolse una proficua attività in Italia e in Europa.
Letteratura
Sebbene la Valpolicella non abbia dato i natali ad illustri poeti, può comunque vantare una tradizione letteraria rilevante, tale da meritarsi le parole "questa pare la valle dei poeti" da parte di Aleardo Aleardi[73].
A partire dal Quattrocento molti poeti si spostano in questi luoghi per trovare la tranquillità necessaria a scrivere le loro composizioni. Nato a Negrar è l'umanista Giangiacomo Pigari[74][75], noto per la sua raccolta Privilegia et iura Vallis pulicellae[76] e per il carmeAd Nymphas Pulcellidas che costituisce il primo e più completo documento poetico relativo alla valle[68].
Il più noto letterato che ebbe i natali in Valpolicella fu Bartolomeo Lorenzi, che nacque il 1732 a Mazzurega (frazione di Fumane). Di poco appresso, a Negrar nacque l'abate Paolo Zanotti, eminente filologo, che diede un contributo fondamentale alla cultura della zona riportando alla luce manoscritti dimenticati e curando l'edizione di molti testi.
Altri letterati che soggiornarono intorno al XVIII secolo in Valpolicella, da loro decantata in molti versi, furono Antonio Cesari e Ippolito Pindemonte. Questi, strettamente legato alla località di "Novare" (presso Negrar) dove fu spesso ospite nella Villa Mosconi[77], dedicò ai luoghi amati questi versi:
«Son cari a Bacco questi colli e cara
questa fonte alle Najadi è non meno.
Se troppo di quel nume hai caldo il seno,
tu con quest'acque a rinfrescarlo impara»
Nel XIX secolo nella Valpolicella soggiornarono due importanti letterati: Aleardo Aleardi e Cesare Betteloni, che a Castelrotto cantò la bellezza della Valpolicella nel poema giovanile La solitudine. Aleardi compose, invece, una raccolta di poesie, che chiamò Canti Patrii, in cui descrive le tristi condizioni della valle oppressa dalla dominazione austriaca[78]. Nel 1848 nasce a Negarine Giuseppe Fraccaroli, ellenista di fama mondiale e traduttore di numerose opere greche[79].
La Valpolicella non ha però dato un contributo rilevante alla poesia dialettale[80], mentre è stata di ispirazioni per molti componimenti del poeta veronese Berto Barbarani[68]. Tra gli ameni luoghi della valle che Barbarani cantò troviamo la località "La Sorte" a Negrar, la valle di Fumane con il santuario della Madonna delle Salette e la frazione di San Giorgio[81].
Istruzione
La crescita economica e demografica del dopoguerra ha portato alla nascita di molti istituti scolastici a servizio dei giovani valpolicellesi. Quasi tutte le frazioni dispongono di una propria scuola elementare e tutti i comuni, a parte Marano, arrivano a completare il ciclo di studi della scuola dell'obbligo. San Pietro in Cariano può vantare anche degli istituti di scuola superiore. Inoltre, a San Floriano (frazione di San Pietro in Cariano), presso Villa Lebrecht, è stata recentemente istituita la sede del corso di laurea in Scienze e Tecnologie Viticole ed Enologiche, dell'Università degli Studi di Verona.
Biblioteche e centri documentazioni
Ogni comune valpolicellese possiede una propria biblioteca. Esse sono poi integrate nel "Sistema bibliotecario della provincia di Verona"[82]. La biblioteca comunale di Fumane si trova in viale Verona, a Marano in piazza della Comunità, a Negrar in via Cavalieri di Vittorio Veneto, a San Pietro in Cariano in via Lenguin, a Sant'Ambrogio in viale Madonnina[83] e a Pescantina in via Ponte[84].
Nel 1980 è nato il Centro di documentazione per la storia della Valpolicella come una libera associazione culturale per la sviluppo della ricerca e della conoscenza della storia del comprensorio. Il centro ha sede a Fumane, presso la biblioteca comunale.
Il centro ha curato la pubblicazione di oltre trentacinque volumi, fra cui diciotto Annuari[85].
Musei
Attualmente in Valpolicella sono presenti quattro musei[86]:
A San Giorgio di Valpolicella sono presenti un museo etnografico, istituito negli anni settanta del novecento, che documenta le attività e le tradizioni locali grazie all'esposizione di cimeli preistorici, e uno archeologico che raccoglie alcuni reperti trovati in loco come are e iscrizioni romane, sculture e rilievi Longobardi e carolingi, oggetti d'arte di svariate epoche[87].
A Pescantina sono invece esposti oggetti che raccontano le attività della popolazione del luogo e delle comunità legate al fiume Adige[88]. Si possono trovare documenti, fotografie e disegni riguardanti: la navigazione del fiume, la macinazione dei cereali, la frutticoltura, l'irrigazione e di numerose altre pratiche agricole artigianali e domestiche.
A Molina, infine, è presente un museo di botanica, che in collaborazione con il museo civico di storia naturale di Verona, espone numerosi materiali, fotografie e disegni per illustrare le specie botaniche dell'area lessinica.
Economia
La presenza di materie prime, il perdurare di lunghi periodi di pace e la posizione favorevole (sulla via del Brennero e vicino a un fiume navigabile) sono stati fattori che hanno certamente permesso alla Valpolicella di godere di una certa ricchezza economica nel corso della sua storia, nonostante alcuni periodi di crisi, generalmente legati a cali nella produzione agricola o a periodi di recessione economica.
Se l'agricoltura è stata l'attività più caratteristica della valle, il boom economico degli ultimi anni ha portato alla nascita di numerose imprese anche in ambito edilizio e nel settore terziario. Se nel 1961 si registrano complessivamente 1420 aziende che danno lavoro a 4720 addetti, nel 1969 risultano aumentate a 1610 con 6130 addetti[90]. Come per l'agricoltura, caratterizzata fino a pochi anni fa da piccoli possedimenti privati, anche l'industria è perlopiù costituita da imprese d'iniziativa privata, con conseguente grande frazionamento[91]. L'eccezione a questa peculiarità è stata rappresentata dall'azienda "Lonardi", specializzata in costruzioni in acciaio (situata a San Pietro in Cariano), di ragguardevoli dimensioni e che era riuscita a guadagnare notevole affermazione nel settore prima di chiudere per fallimento.
Le due produzioni che hanno sempre caratterizzato l'economia della Valpolicella sono quelle del vino e del marmo. Se la produzione del primo è distribuita equamente su tutto il territorio, quella del secondo è accentrata nelle cave estrattive situate nei comuni di Sant'Ambrogio e Sant'Anna d'Alfaedo.
Il marmo
Fin dall'antichità la Valpolicella è stato il fulcro di un'intensa attività di estrazione di marmo pregiato. Molti monumenti di Verona sono stati edificati utilizzano questo marmo, e molto probabilmente anche le pietre che compongono l'Arena di Verona provengono da qui[92].
Molti altri monumenti veronesi sono stati edificati grazie a questi marmi, ma forse il più insigne esempio ci viene dalla rinascimentalecappella Pellegrini, dove l'architetto Michele Sanmicheli raggiunse altissimi livelli di eleganza e magnificenza anche grazie all'utilizzo del nembro bianco di Selva di Sant'Ambrogio[93], un tipo di marmo conosciuto anche come bronzino[94].
Il tipo più caratteristico di marmo qui estratto è la pietra di Prun. Lo scavo di questa pietra ha origini antichissime, risalenti all'epoca medioevale o addirittura romana. Un'altra pietra molto importante è il marmo rosso di Verona (un tipo di rosso ammonitico), lavorato nella zona più a ovest della valle: questa estrazione, che è in corso da venti secoli, è essenziale per la decorazione di elementi architettonici, pavimenti e sculture. Anche il tufo, estratto in particolare nelle colline tra Negrar e Valgatara e a Corrubbio, è stato estratto fin dai tempi dei romani, come testimoniano molte costruzioni realizzate con esso[95].
A partire dal XIX secolo, grazie al miglioramento delle vie di comunicazione, il marmo valpolicellese, sia grezzo che lavorato, ha iniziato ad essere esportato al di fuori dai confini nazionali, ed in particolare verso Austria, Germania, Polonia, Inghilterra e Americhe.
Nel periodo tra le due guerre, l'attività estrattiva ha subito profondi rallentamenti dovuti alla mancanza di manodopera e di richiesta; anche il periodo autarchico, voluto dal fascismo, ha causato l'interruzione dei commerci esteri che si erano ben avviati sul sorgere del XIX secolo.
A partire dal termine della seconda guerra mondiale la produzione di marmo ha sperimentato una rapida crescita, così che nel 1969 si è arrivati a contare circa 140 aziende che occupavano oltre mille lavoratori[96].
Il commercio estero è di fondamentale importanza per questo settore e i principali mercati di sbocco sono rappresentati dall'Unione europea e in particolare dalla Germania. Qui di seguito sono elencati alcuni dati sulle esportazioni avvenute nel 1998[97]:
Da sempre la Valpolicella ha avuto nell'agricoltura la sua principale fonte di ricchezza. Soprattutto negli ultimi anni la storica vocazione alla viticoltura ha fatto fiorire l'economia della valle, con la nascita di molte aziende agricole e cantine sia a gestione familiare che vere e proprie imprese industriali famose in tutto il mondo[98].
L'esportazione di vino imbottigliato copre i mercati di tutto il mondo e in particolare il Nord America e l'Europa centrale, ma sono in ampliamento anche i mercati dell'est. Il vino più quotato sul mercato è l'Amarone, sempre fatto con le uve del Valpolicella.
La produzione di uva si stima essere ampiamente superiore ai 550.000 quintali[99]. I vigneti più pregiati si trovano in collina, dove per permettere la coltivazione sono stati creati dei terrazzamenti, chiamati in dialetto le marogne.
Seppur di minor importanza rispetto alla coltivazione della vite, anche gli alberi da frutto contribuiscono sostanzialmente al sostentamento dell'economia della valle. Dalla metà del XIX secolo si sono accresciute, nella parte meridionale della zona, ampie coltivazioni di pescheti (in particolare a Pescantina), mentre la parte più centrale e collinare si è caratterizzata per la coltivazione del ciliegio (in particolare a Cerna, Cavalo, Prun e Molina). Le pesche di queste zone sono state a lungo considerate le migliori del Veneto e nella bassa Valpolicella sono sorti numerosi consorzi ed aziende specializzate nella loro lavorazione ed esportazione (in particolare verso la Germania).
L'intensa attività agricola ha stimolato alla creazione di molte cooperative ed aziende sociali che hanno affiancato negli anni le grandi aziende private. A San Pietro in Cariano ed a Negrar sono presenti cantine sociali e cooperative cerasicole che offrono ai propri soci importanti infrastrutture[101].
L'agricoltura in Valpolicella è però sempre stata minacciata dal fenomeno della grandine, nonostante siano stati studiati e sperimentati numerosi rimedi nel corso degli anni. Per la protezione dei frutteti si è spesso fatto ricorso all'uso di reti protettive. I coltivatori di vitigni sono costretti a combattere anche un'altra piaga che ha messo più volte nella storia in ginocchio la vendemmia, la fillossera[102].
Industria e servizi
Nel contesto economico del luogo la piccola e media industria manifatturiera hanno la loro importanza. Si possono trovare notevoli aree artigianali industriali nei comuni di San Pietro in Cariano, Sant'Ambrogio di Valpolicella ed a Negrar. Nel comune di Fumane è presente un imponente cementificio, ora abbandonato. Una produzione manifatturiera che ha sempre caratterizzato la zona è quella dei mobili per arredamento.
L'attività di allevamento è invece risultata in forte diminuzione negli ultimi anni, seppur resistendo marginalmente in particolare nelle zone dell'alta Valpolicella.
La crescita sostenuta dell'economia della valle ha portato ad un incremento del settore dei servizi; fra questi, quello bancario è giunto a far contare la presenza di quasi 50 sportelli sul territorio[103]. Nativa di Marano è la "Banca della Valpolicella - credito cooperativo di Marano"[104], fondata il 12 giugno 1984, che ha conosciuto un'estensione capillare di filiali sul territorio, spingendosi anche al di fuori dei confini naturali della valle.
Il turismo ha un rilevante peso nell'economia della valle, grazie al clima gradevole, e ciò ha favorito la creazione di centri benessere e di servizi termali[105].
Per quanto riguarda la sanità, il territorio della Valpolicella è interamente compreso nei confini dell'ULSS 22[106]. A Negrar è presente l'Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, struttura privata-convenzionata, con oltre 800 posti letto disponibili[107]. La sede del distretto sanitario è a Domegliara.
Nel campo dei servizi per la pubblica sicurezza è in fase di attivazione un corpo di polizia municipale unico per tutti i comuni, ad eccezione di Marano di Valpolicella che non ha aderito al progetto, che garantirà, nelle intenzioni dei proponitori, una maggior ottimizzazione della copertura[108].
Trasporti e vie di comunicazione
Nella storia della Valpolicella, le sue contrade montane hanno vissuto fino a poco tempo fa in uno stato di isolamento dovuto alla mancanza di efficienti vie di comunicazioni. Esse erano per lo più collegate con sentieri precari tracciati in particolare da contrabbandieri che risalivano le valli valpolicellesi per recarsi nel Trentino-Alto Adige[109]. I paesi di fondo valle, al contrario, disponevano già di una sufficiente rete viaria e spesso utilizzavano anche il vicino fiume Adige per spostare persone e materiali verso la città di Verona.
A partire dal XIX secolo, con l'esigenza da parte dei dominatori austriaci di fortificare la zona, sono sorte nuove e più agevoli vie di comunicazione anche per alcuni paesi remoti della zona collinare (come Monte) che uscivano dal secolare isolamento nonostante molte di queste strade erano soggette a servitù militari.
È però a partire dalla metà del XX secolo, grazie al grande boom economico che si ha la realizzazione di un notevole sistema viario[110], che però risulta essere oggigiorno ancora insufficiente a gestire la grande mole di traffico che qui si concentra.
Strade
La Valpolicella vanta una buona rete stradale che collega tutti i principali centri abitanti della pianura con le valli più a nord. L'autostrada A22 del Brennero prosegue, dopo l'uscita di Verona nord, per circa 7 km lungo la tangenziale ovest fino a giungere prima a San Pietro in Cariano e a Fumane poi. La valle è attraversata, nella sua parte più meridionale, dalla strada statale 12 dell'Abetone e del Brennero che attraversa i comuni di Pescantina e Sant'Ambrogio collegando la Valpolicella a Verona ad est e alla Valdadige a nord ovest.
La strada provinciale n.4 della Valpolicella è la strada principale che collega il quartiere di Borgo Trento di Verona alla frazione di Domegliara di Sant'Ambrogio, attraversando tutta la vallata. In direzione da sud a nord, la strada provinciale n.33 del Pastello parte da San Pietro in Cariano e sale verso la Lessinia fino all'abitato di Cavalo (frazione di Fumane). Questa strada prende il nome dal Monte Pastello. Sempre in questa direzione la strada provinciale n.33/c di Solane (dal Monte Solane) collega Sant'Ambrogio a Cavalo. Queste due strade poi proseguono verso Breonio.
Linee ferroviarie
A sud la Valpolicella è attraversata dalla Ferrovia del Brennero. L'unica stazione passeggeri attualmente in funzione è la stazione di Domegliara, situata nel comune di Sant'Ambrogio di Valpolicella; essa dispone di un attrezzato scalo merci ad uso delle numerose industrie di marmi e di un'acciaieria. La stazione di Balconi di Pescantina, nota per essere stata l'approdo di molti internati dei campinazisti che fecero ritorno in patria[111], è ormai da anni in disuso.
Nella prima metà del 1900 era entrata in funzione la ferrovia Verona-Caprino-Garda che attraversava la valle, soppressa nel 1959, a favore della strada provinciale[112].
Autobus
Il servizio di trasporto pubblico su autobus è gestito dall'azienda ATV e raggiunge tutti i comuni e la maggior parte delle frazioni del territorio. Recentemente è stato potenziato il servizio di trasporto pubblico a favore dell'ospedale di Negrar grazie ad un finanziamento dello stesso nosocomio, dei comuni di Negrar e Verona e della provincia[113].
Monumenti e luoghi d'interesse
Le ville
La Valpolicella è rinomata per la presenza sul territorio di numerose ville venete di ragguardevole pregio storico-artistico. L'edificazione di queste dimore risale al XV secolo, all'epoca della dominazione veneziana, e nasce dall'esigenza dei ricchi proprietari terrieri veronesi di trasferirsi saltuariamente in campagna per seguire la produzione agricola oppure per villeggiatura.
Non meno di ottanta ville sono presenti nel territorio; possiamo citare le principali:
La Valpolicella è anche ricca di piccole chiese e di pievi di architettura romanica:
Pieve di San Floriano, a San Floriano di San Pietro in Cariano. Risalente al XII secolo è uno dei più begli esempi di architettura romanica nel veronese. Dotata di un notevole campanile;
Oasi naturalistica di protezione "Oasi Ponton" a Sant'Ambrogio di Valpolicella;
Cave di Prun; complesso di numerose gallerie scavate dal 1700 sul fianco della montagna di Prun per ricavarne pietra per costruzioni e manufatti. Oggi si è creato un percorso suggestivo di alcuni chilometri tra i tunnel;
Le contrade dell'alta Valpolicella con le loro caratteristiche case in pietra;
In Valpolicella sono presenti numerosi impianti e società sportive.
Sicuramente lo sport più popolare è il calcio, e moltissime frazioni sono dotate di una propria squadra e campo da gioco. Il "Domegliara", dopo aver militato per anni nelle categorie regionali venete, si è imposto come campione regionale d'Eccellenza nella stagione 2006-2007, entrando a far parte dal 2008 del girone C della Serie D.
Un altro sport che ha solide tradizioni nella valle è il tamburello. Negli anni settanta il "Lonardi" di San Floriano (società oramai scomparsa) ha conquistato ben quattro campionati italiani. Altri importanti risultati sono stati raggiunti dalla Fumanese e dal Valgatara.
Nel 1974 a San Pietro in Cariano nasce il Rugby Club Valpolicella, che è riuscito ad imporsi come una delle squadre più importanti, a livello giovanile, nel panorama rugbystico nazionale[114].
Altri sport praticati sono il triathlon (in particolare a Fumane[115]), l'atletica leggera (sono presenti dei moderni impianti a San Pietro in Cariano) e il tiro a segno (a Negrar).
Le colline della valle sono inoltre meta privilegiata per numerosi amanti del ciclismo. In occasione del "Palio del Recioto di Negrar", si tiene il Gran Premio Palio del Recioto gara ciclistica internazionale riservata agli under 23, che attraversa gran parte dei comuni della valle.
Eventi
Come è tradizione in tutta la provincia di Verona, anche in Valpolicella non c'è comune o frazione importante che non presenti in calendario almeno una sagra l'anno. Queste feste popolari, che richiamano molti partecipanti, si svolgono generalmente in occasione della ricorrenza del santo patrono del luogo. Tra le più importanti la sagra di San Lorenzo a Pescantina e la "Sagra dell'anguria e festa dell'Assunta" che si svolge nella frazione di Bure.
A Pedemonte (comune di San Pietro in Cariano), tra aprile e maggio, si svolge la cosiddetta "Magnalonga", una camminata enogastronomica lungo le colline, che richiama migliaia di appassionati da ogni parte d'Italia e dall'estero[116].
A Negrar, durante il periodo delle festività pasquali, si svolge fin dal 1953 un importante concorso enologico: "Il palio del Recioto".
Come da tradizione veronese, anche in Valpolicella è sentito molto il carnevale. In particolare a Domegliara (frazione di Sant'Ambrogio) la domenica precedente il Mercoledì delle Ceneri si tiene una festosa sfilata di carri allegorici: il "Carnealòn de Domeiara" (detto in lingua veneta).
Per gli amanti della musica è necessario citare il "Mazzurega in blues festival"[117], che si tiene nell'omonima frazione di Fumane, e Musica in Villa in Valpolicella, una serie di concerti di musica classica che si tengono durante il periodo estivo in alcuni dei luoghi più suggestivi della valle.
Enogastronomia
Cibo fondamentale della cucina tipica della Valpolicella è sicuramente la polenta. Cotta in un paiolo di rame, può accompagnare salami, sanguinaccio, strutto e il più classico cotechino. Altro piatto tipico della cucina veronese, e di conseguenza della Valpolicella, è il lesso con pearà. Se sulla tavola abbondano da un lato insaccati e prodotti dell'orto, dall'altro il pesce non riveste una grande importanza nella cucina di questa zona, fatta eccezione per l'aringa (chiamata in dialetto renga) che viene addirittura festeggiata, a Parona, il primo mercoledì delle ceneri nella tradizionale "festa della Renga".
Un piatto raro presente in questa cucina sono le lumache accompagnate, ad esempio, dal tartufo nero, non estremamente raro in queste zone.
Fra i primi piatti va ricordata la pasta fatta in casa: tagliatelle, bigoli, lasagne, e non possono certo mancare i tradizionali gnocchi di patate. Una menzione speciale va al "risotto all'Amarone", realizzato utilizzando il famoso vino locale.
Come esposto in precedenza, la zona collinare della Valpolicella è ricca di ulivi che producono dell'olio di eccellente qualità.
Vini
«… Non lo splendore del paesaggio, non gli eventi della storia, non i monumenti dell'arte, non i canti dei poeti, ha servito a render nota la Valpolicella quanto il suo prodotto tipico: il vino[118]»
(Giuseppe Silvestri, giornalista e storico)
Valpolicella è sinonimo di viticultura; vi si produce infatti il "Valpolicella", pregiato vino italiano DOC. Esso si ottiene dalle uve di tre vitigni diversi presenti nel territorio: la Corvina, la Molinara e la Rondinella. Si ha notizia della dedizione del territorio verso la viticultura già in epoca romana, ma è nel Medioevo che si ebbe una forte crescita dell'attività. Si pensa che già nel XIV secolo il 30-40% del territorio agricolo fosse dedicato esclusivamente alla coltivazione dell'uva. Oltre al "Valpolicella" possiamo trovare il "Valpolicella classico", che viene realizzato esclusivamente da vitigni situati nella zona della Valpolicella storica (nella zona, appunto, "classica") e il "Valpolicella Ripasso", caratterizzato da una macerazione con vinacce fermentate di uve appassite[119]. Dal ripasso si realizza un'ulteriore tipologia di vino: il Valpolicella Superiore, che grazie ad un affinamento lungo almeno un anno, arriva a possedere un'alcolicità più elevata, un'acidità più bassa e una maggior rotondità[120]. Il Valpolicella è adatto ad abbinarsi con svariati salumi e prodotti di norcineria locali (quali lardo, soppressa, pancetta), con primi piatti di pasta, riso e soprattutto con minestre e zuppe di verdure. Per quanto attiene ai secondi piatti, si accompagna sia con quelli della cucina tradizionale (come il fegato alla veneziana) che con le carni bianche. Ottimo con i formaggi di media stagionatura[121][122].
L'Ottocento è il secolo in cui nacquero e si svilupparono le scienze agronomiche e viticole. È questo il periodo nel quale vennero fondate le prime cantine sociali[123]. Nel 1888 si sentì parlare per la prima volta di Recioto (chiamato allora Rechiotto)[124], vino prodotto con le medesime uve e nelle medesime zone dei vini del "Valpolicella", ma dopo averle sottoposte ad un leggero appassimento. Questo vino dal sapore dolce e vellutato, considerato da dessert[121], si sposa in particolare con un cioccolato intenso[125].
È proprio partendo dal Recioto che si ebbe la nascita di uno dei vini rossi veneti più conosciuti, che ha reso la Valpolicella celebre in tutto il mondo[126]: l'Amarone. Il nome deriva dalla parola “amaro”, adottata per distinguerlo dalla dolcezza del Recioto da cui origina.[127]
Esso nacque nel 1936 nella Cantina Sociale Valpolicella, ma per avere una sua prima commercializzazione ufficiale si dovette aspettare il 1953, anno nel quale avvenne il primo imbottigliamento da parte della cantina di Negrar[128].
L'Amarone risulta essere in sintonia con i cibi dell'autunno e dell'inverno, come ad esempio: brasati, stracotti, spezzatini e arrosti soprattutto di selvaggina ovvero con piatti "importanti". Si adatta bene anche con i salumi (come la soppressa veronese) ed ai piatti tipici della tradizione valpolicellese, quali "pasta e fasoi" e lo stesso "risotto all'Amarone"[122].
Note
^abcPiù volte si è dibattuto se Pescantina e Sant'Anna d'Alfaedo facciano parte o meno della Valpolicella. Nel libro Escursioni in Valpolicella, l'autore Cipriani spiega come effettivamente sia difficile stabilire i confini a nord, perché manca un confine naturale tra Valpolicella e Lessinia, però dice che sarebbe da escludere Sant'Anna. Pescantina invece verrebbe inclusa, in quanto come confine meridionale viene "utilizzato" l'Adige. Il portale Valpolicella.it. URL consultato il 14 settembre 2010 (archiviato il 23 febbraio 2010). invece include entrambi i comuni. Un'altra autorevole fonte che descrive i confini della Valpolicella ci viene dal geografoAntonio Toniolo che, nella sua opera Toniolo, esclude interamente il comune di Sant'Anna e include i colli di San Dionigi di Parona.
^Il termine negrarizzazione è stato usato spesso dai mass-media e nei dibattiti politici. Si veda ad esempio il recente libro di Gabriele Fedrigo, che usa il neologismo proprio come titolo: "Negrarizzazione. Speculazione edilizia, agonia delle colline e fuga della bellezza" (QuiEdit, Verona, 2010) cfr. La negrarizzazione si ferma con la vigilanza, su prealpiveronesi.it. URL consultato il 15 luglio 2010 (archiviato il 19 agosto 2010).
^Portale Valpolicella.it - Geologia, su valpolicella.it. URL consultato il 21 luglio 2010 (archiviato dall'url originale il 13 maggio 2006).
^I nomi dei corsi d'acqua sono stati presi dalla carta geografica Carta dei sentieri - Sulle colline dalla Valpolicella al lago di Garda edita dalla regione Veneto, provincia di Verona, Comunità montana del Baldo e della Lessinia.
^Portale Valpolicella.it - Il clima, su valpolicella.it. URL consultato il 22 settembre 2010 (archiviato dall'url originale il 15 settembre 2007).
^Ente per le nuove tecnologie, l'Energia e l'Ambiente Gradi giorno, su clisun.casaccia.enea.it. URL consultato il 12 giugno 2010 (archiviato il 25 dicembre 2019).
^Portale Valpolicella.it, su valpolicella.it. URL consultato il 5 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 15 settembre 2007).
^Il marchese Gabriele Dionisi (1719-1808), discendente di un'importante famiglia residente a Ca' del Lago di Cerea (in cui è ancora presente la bella Villa Dionisi), è stato una figura importante nell'illuminismo veronese.
^La scoperta è stata compiuta nel 1887 da Stefano de Stefani. La scoperta del tetto carbonizzato delle capanne ha potuto far supporre che il villaggio fosse stato oggetto di un saccheggio e poi in seguito incendiato.
^Le scoperte sono state documentate dal de Stefani nei suoi numerosi scritti, conservati presso alcune biblioteche del veneto. Tra i suoi scritti ad esempio: "Scoperte di antichità a Breonio e a Isola della Scala", "Sopra gli scavi fatti nelle antichissime capanne di pietra del monte Loffa", "Sopra i molti e diversi oggetti di alta antichità scoperti a Breonio".
^Secondo Scipione Maffei erano di origine etrusca, in contrasto con l'ipotesi di Theodor Mommsen che li riteneva di origine retica. Ancora oggi non è possibile stabilirlo con certezza, ma entrambe le popolazioni erano comunque di origine italica.
^Cassiodoro ne parla così: “vino puro dal colore regale e dal sapore speciale cosicché tu pensi o che la porpora sia tinta dal vino stesso o che il suo limpido umore sia spremuto della porpora; ...liquido carnoso e bevanda mangiabile...” come riportato in Portale Valpolicella.it – Il vino della Valpolicella nella letteratura, su valpolicella.it (archiviato dall'url originale il 7 maggio 2006).
^La datazione si è avuta grazie a un'iscrizione in lingua latina, presente su una delle colonne del ciborio, qui di seguito riportata:
(LA)
«In nomine Domini Jesu Christi. De donis sancti Juhannes Bapteste edificatus est hanc civorius sub tempore domno nostro Lioprando rege et viro beatissimo pater nostro Domnico epescopo et costodes eius venerabilibus Vidaliano et Tancol presbiteris et Refol gastaldio Gondelme indignus diaconus scripsi»
(IT)
«Nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo. Dai doni di San Giovanni Battista fu edificato questo ciborio, al tempo del sovrano nostro signore Liutprando e del venerabile nostro padre vescovo Domenico, e dei suoi custodi venerabili sacerdoti Vidaliano e Tancol, e del gastaldo Refol. Io Godelmo, indegno diacono, scrissi.»
^In Saraina abbiamo la testimonianza che i cittadini della Valpolicella "godono molti privilegi, che furono concessi dalli Signori Scaligeri, e dalla Illustrissima Repubblica Veneta, si come la prerogativa, e giurisdittione d'eleggere un cittadino per loro Vicario, con autorità di poter giudicare sopra qualunque somma".
^Ad esempio, Breonio fu accorpato al vicariato delle Montagne.
^Questo episodio è narrato da numerosi storici veronesi e in particolare da Alessandro Carli nell'opera Istoria della Città di Verona sino all'anno 1517.
^Il testo dello statuto si può trovare nel testo pubblicato nel 1635 dal titolo: Ordini e consuetudini che si osservano nell'Offitio del Vicariato della Valpolicella.
^Questa sontuosa cerimonia durò fino alla fine della Repubblica Veneta, il poeta e letterato Benedetto Del Bene, vicario nel 1775, ha lasciato un'accurata descrizione nel suo Giornale di Memorie.
^Una descrizione di queste insegne la troviamo in Archivio storico veronese: raccolta di documenti e notizie riguardanti la storia politica, amministrativa, letteraria e scientifica della città e della provincia, verona, 1879., probabilmente a cura di Osvaldo Perini.
^Vengono soppressi i comuni di Negarine (aggregata a San Pietro in Cariano), Parona (aggregata a Verona), Prun (aggregato a Negrar) e Breonio (aggregato a Fumane).
^I bombardamenti furono pesanti anche nella città di Verona e i numerosi sfollati ripiegarono in Valpolicella, contribuendo a rendere ancora più difficile la situazione per gli abitanti.
^Sono stati effettuati numerosi dibattiti sull'eccessiva cementificazione del luogo e molte associazioni sono nate alla sua difesa. Si può vedere ad esempio: www.salvalpolicella.it, su salvalpolicella.it. URL consultato il 14 settembre 2010 (archiviato dall'url originale il 14 aprile 2011).
^I dati sulla popolazione di Sant'Anna d'Alfaedo e Marano di Valpolicella evidenziano un netto calo di abitanti a partire dagli anni cinquanta, mentre dal duemila si nota una leggera crescita.
^Autore di una pala a Pescantina e di alcune opere nelle parrocchiali di Monte e San Pietro in Cariano.
^Gli si attribuiscono molte opere, tra cui due alla parrocchiale di Fumane, una presso quella di Settima e probabilmente una quarta, una "Madonna e S. Caterina", a Castelrotto.
^Autore di una "Madonna e San Domenico", presso la chiesa di Santa Maria di Negrar.
^La sua unica opera certa presente in Valpolicella è un "Battesimo di Cristo" presso la chiesa di Santa Maria di Negrar.
^Il canto Per un giuoco di palla nella Valle di Fumane composto il 5 dicembre 1857 termina con una postilla in cui è riportata questa frase.
^Secondo il trattato Marmi, pietre e terre coloranti della Provincia di Verona di Enrico Nicolis i marmi dell'Arena provengono certamente dalla Valpolicella perché «mostrano, almeno in parte, di derivare dal nembro, della cengia, dal rosso e dal gialletto di Sant'Ambrogio», com'è riportato in Silvestri, p. 236.
^Chiamato così in virtù del suono vibratorio che produce durante la sua lavorazione.
^Ne abbiamo notizia da Vitruvio, da cui sappiamo anche che usavano lasciarlo indurire per alcuni anni prima di utilizzarlo. Dal Medioevo in poi è utilizzato in particolare allo scopo di decorazione.
^Dati della Camera di Commercio riportati in Silvestri, p. 244.
^Cantina sociale di San Pietro: home page, su valpolicellaclassico.it. URL consultato il 20 luglio 2010 (archiviato il 26 marzo 2010). Cantina sociale di Negrar: home page, su cantinanegrar.it. URL consultato il 20 luglio 2010 (archiviato il 13 agosto 2010).
^Consorzio Valpolicella - Storia del vino, su consorziovalpolicella.it. URL consultato il 22 luglio 2010 (archiviato l'8 marzo 2016).
^Comuni-italiani.it. URL consultato il 14 settembre 2010 (archiviato dall'url originale l'8 settembre 2010).
^Banca della Valpolicella - la storia, su bancavalpolicella.it. URL consultato il 15 giugno 2010 (archiviato dall'url originale il 13 gennaio 2010).
^In Valpolicella, la prima cantina sociale nasce a Fumane come si legge qui, su valpolicella.it. URL consultato il 2 agosto 2010 (archiviato dall'url originale il 13 maggio 2006).
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