Giuseppe Vitalesta, protagonista nel bene e nel male dell'annata perugina.
Il Perugia disputò quest'anno una delle migliori stagioni nella sua fin lì breve esistenza, a testimonianza della competitività raggiunta dall'undici biancorosso nella prima metà degli anni 1930. Neopromossa assoluta in Serie B, la squadra umbra sfiorò già in quest'annata quel che sarebbe stato uno storico approdo in massima categoria: grazie alle marcature della veloce «freccia del calcio perugino»,[1] un sempre più lanciato Giuseppe Vitalesta — che ne faranno il capocannoniere del girone, in coabitazione col modenese Piccaluga[2] —, gli uomini di Cesare Migliorini vinsero il proprio raggruppamento sopravanzando di un punto il Modena e di tre il Bari, garantendosi con queste due l'accesso al girone finale a sei da cui sarebbe scaturita la formazione promossa in Serie A.
Qui i grifoni non riuscirono tuttavia a ripetere quanto di buono mostrato nei mesi precedenti, chiudendo il gironcino all'ultimo posto dietro ai GC Vigevanesi, alla Pro Patria, alle già citate Modena e Bari, e alla Sampierdarenese che ottenne il pass per la massima categoria.
Proprio nell'ambito di queste sfide finali, il giovane capitano e bomber biancorosso Vitalesta si rese protagonista di un controverso episodio, quando al termine dell'incontro casalingo coi bustocchi reagì alle tante decisioni avverse della giacchetta nera — le ultime di una lunga serie di «dolenti note», ovvero arbitraggi a senso unico, forse indirizzati dalla mancanza in città di eventuali infrastrutture per la Serie A[1] causa un piazzone sterrato, imbrecciato e recintato da una semplice staccionata — scagliando un sonoro «diretto» al volto del fischietto De Sanctis.[2][3]
Il violento gesto costò a "Peppino" un'iniziale squalifica a vita, prima di venir «riqualificato» quattro mesi dopo (mentre l'arbitro di quel match sarà successivamente radiato), ma oltre a precludergli il potenziale tesseramento in Serie A (dove aveva destato l'interesse di compagini quali Milan[2] e Triestina),[1] di fatto segnò il termine della promettente carriera[3] di questo perugino doc il quale, a differenza di suoi compagni di squadra provenienti da fuori regione, non riceveva compenso per vestire la maglia perugina, scendendo in campo unicamente per passione; l'anno seguente, dopo un'ultima partita contro la MATER di Roma, Vitalesta appese per sempre gli scarpini al chiodo — anzi, li fece polemicamente recapitare al presidente federale Giorgio Vaccaro e al segretario Ottorino Barassi — per dedicarsi a tempo pieno, da lì in avanti, alla gestione del bar di famiglia in corso Vannucci.[2]
^abcd Carlo Giulietti, Anni '30: fatti e misfatti a Piazza d'armi, in Vecchia Guardia Grifo News, 13 aprile 2014, p. 8.
^ab Carlo Giulietti, Peppino Vitalesta, un gran perugino (JPG), in Vecchia Guardia Grifo News, 26 febbraio 2012, p. 8 (archiviato dall'url originale il 16 aprile 2013).
^Campo neutro per la squalifica del campo della Pistoiese.
Bibliografia
AA.VV., Il Pallone d'Oro - Prima enciclopedia storica del calcio mondiale, Vol. III, Milano, Perna Editore, 1967-1969.
Carlo Fontanelli, Il "Ciuccio" sogna - I campionati italiani della stagione 1933-34, collana La biblioteca del calcio, Empoli, Geo Edizioni, 2003, pp. 105-106, SBNIT\ICCU\CFI\0800074.