La prima idea di iniziare la costruzione di una nuova Casa del Fascio in viale Cavour, in sostituzione di quella preesistente in corso Giovecca, è del 1926[2] e allo scopo venne deciso di demolire un edificio che occupava l'area utilizzato come caserma e prima ancora come granaio pubblico.
Il progetto iniziale fu dell'architetto Giorgio Gandini, che lo preparò nel 1928, contemporaneamente ad alcuni vicini "condomìni" e alla sede del Corriere Padano, conferendo così un assetto omogeneo all'intero quartiere.[1]
Parte del portale seicentesco della facciata della vecchia costruzione fu trasportato nel cortile del Palazzo dei Diamanti nel 1931.
L'inaugurazione fu svolto alla presenza di Italo Balbo, Renzo Ravenna e delle più alte autorità locali.
L'opera rientrò nell'ambito della ricostruzione della città, successivamente chiamata Addizione Novecentista, e fu tra le iniziative urbanistiche che l'amministrazione comunale, guidata dal podestà Renzo Ravenna, mise in cantiere per dare un volto moderno alla città, per dare un aiuto all'occupazione e per seguire il desiderio di Italo Balbo di riportare Ferrara agli antichi splendori estensi. In tale disegno un notevole sostegno arrivò anche dalle pagine del Corriere Padano, allora diretto da Nello Quilici.[3][4]
Attualmente una parte dell'edificio è sede della Scuola Secondaria di I° grado Torquato Tasso,[5] mentre nel corpo centrale sono collocati gli uffici della Ragioneria Territoriale dello Stato di Ferrara.
Aspetti architettonici
Il palazzo venne progettato per essere grandioso, con un corpo centrale affiancato da due avancorpi. Si fece largo uso di elementi marmorei e decorativi cinquecenteschi, con anticipazioni, negli interni, della moderna architettura razionalista.[1] Vennero previsti balconi, porticati e terrazzi, colonne e cornicioni imponenti. L'ampio atrio principale fu di concezione più razionalista e, unito all'importante scala, era rapportato alle dimensioni dell'intero edificio, che comprendeva oltre cento stanze. Rispose, nelle sue linee, alla volontà di rappresentanza del regime.
L'edificio originale (prima dell'intervento di sopraelevazione) toccava i 17 metri di altezza.
Decorazioni disperse
Successivamente alla seconda guerra mondiale, l'edificio venne sopraelevato, facendo perdere sia decorazioni murali che plastiche,[1] tra cui al suo interno il Sacrario dei Martiri fascisti, legati all'Eccidio del Castello Estense del 20 dicembre 1920.[6]
Tale Sacrario, sempre opera di Gandini, ospitava busti eseguiti agli inizi degli anni trenta da Giuseppe Virgili[7][1][8] (Feliciano Bignozzi, Arturo Breveglieri, Angelo Pagnoni), Ulderico Fabbri (Paolo Accorsi, Franco Gozzi, Rino Moretti),[9]Enzo Nenci (Luigi Barbieri, Fausto Gori, Natalino Magnani, Edmo Squarzanti, Alberto Tognoli),[10][11]Antonio Alberghini (Agostino Ferioli, Napoleone Lenzi, Luigi Vaccari),[12]Laerte Milani (Guerrino Ghisellini, Aldino Grossi)[13] e Gaetano Galvani (Romildo Squarzoni, Ezio Varani).[14]