Costituì la miglior classe di sommergibili italiani del primo conflitto mondiale, presentando buone caratteristiche di manovrabilità ed affidabilità, e risultando peraltro di costi limitati[1][2]. Risultarono ideali per l'impiego in bacini ristretti, come l'Adriatico[1][2]. L'unico loro limite consisteva nella quota operativa non molto profonda, che comunque non era necessaria in un mare come l'Adriatico[1][2].
Avevano struttura «a doppio scafo totale»: lo scafo interno, resistente, era costituito da sezioni trasversali la cui forma variava a seconda degli apparati collocati nei vari locali; lo scafo esterno aveva invece la forma di uno scafo da torpediniera[1][2]. Lo spazio tra lo scafo resistente ed il ponte di coperta poteva essere trasformato in una cassa d'immersione aggiuntiva, mediante l'uso di serrande stagne[1]. I doppifondi erano quattro[1].
Furono tra i primi sommergibili italiani ad imbarcare un apparato radio ed un idrofono tipo «Fessenden»[2].
Fu la più numerosa classe di sommergibili italiani, con ben 21 unità completate, cui se ne aggiunsero numerose altre costruite per altri Paesi, quali Spagna, Portogallo, Brasile, Svezia e Russia[1].
Ebbero largo ed intenso impiego in Adriatico a partire dal 1916, cogliendo anche alcuni risultati, quali gli affondamenti dei piroscafiPelagosa ed Euterpe (ad opera dell'F 7) e del sommergibile U 20 (ad opera dell'F 12).
Nessuna unità andò perduta per cause belliche, ma tre affondarono accidentalmente: l'F 4 e l'F 8 per manovre errate, nel 1917, senza vittime e venendo poi recuperati e rimessi in servizio; l'F 14 nel 1928 per collisione con il cacciatorpediniereMissori, e con la morte dell'intero equipaggio nonostante i disperati tentativi di soccorso.
Impiegate intensamente nell'addestramento, le unità della classe furono progressivamente radiate negli anni venti e trenta (le ultime nel 1935).