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Un concilio ecumenico, chiamato anche concilio generale[1] e in greco οἰκουμηνικὴ σύνοδος, sinodo ecumenico, è un sinodo (riunione solenne) di tutti i vescovicristiani per definire argomenti controversi di fede o indicare orientamenti generali di morale. L'etimologia dell'aggettivo "ecumenico" lo riconduce al greco ecumene, "[l'intero] mondo abitato", ma storicamente si riferisce all'intero mondo romano. Infatti quelli del I millennio del cristianesimo erano convocati dallo stesso imperatore per evitare dissidi e favorire l'unità religiosa nell'Impero.
Nei primi secoli di vita del cristianesimo, proliferavano i sinodi locali o provinciali. Più tardi, a quelli considerati come rappresentativi della Chiesa intera e validi per la Chiesa intera è stata attribuita un'autorità superiore. Le dispute concernenti l'accettazione o il rigetto di determinati concili, quali quelli di Efeso (431) e di Calcedonia (451), hanno dato origine al problema di stabilire dei criteri per definire quando un concilio potesse dirsi veramente ecumenico. A rendere necessaria una chiarificazione fu inoltre la tendenza sempre più evidente e marcata delle Chiese di Roma, di Costantinopoli e di Alessandria a diversificare le proprie dottrine ecclesiologiche, in rapporto soprattutto al primato papale e alla preminenza dell'una o dell'altra sede patriarcale.
«Non ebbe come collaboratore il papa della Chiesa romana di allora, o i sacerdoti che sono con lui, né per mezzo di suoi legati, né per mezzo di una sua enciclica, come è la norma del concilio.»
«Neanche vi acconsentirono i patriarchi dell’Oriente, di Alessandria, di Antiochia e della Città Santa, o i consacrati che sono con loro e i vescovi.»
«Le loro dichiarazioni sono state fatte come in un luogo segreto, e non dal monte dell’ortodossia. Per tutta la terra non si diffuse la loro eco, come quella degli apostoli, e fino ai confini del mondo le loro parole (cfr Salmo 18,5), come quelle dei sei santi concili ecumenici.»
«Come può essere settimo quello che non è in armonia con i sei santi concili ecumenici prima di esso? Infatti quello che sarebbe stato celebrato come settimo, deve essere coerente con il novero delle cose decise prima di esso. Ciò che non ha niente a che vedere con le cose computate, non deve essere computato. Se uno per esempio mette in fila sei monete d’oro e poi aggiunge a queste una monetina di rame, non può chiamare quest’ultima settima, perché è fatta di materia diversa. L’oro infatti è prezioso e di grande valore, mentre il rame è materiale a buon mercato e senza valore.»
Nello stesso Secondo Concilio di Nicea non erano presenti i patriarchi di Alessandria, di Antiochia e di Gerusalemme: lo storico dei concili Hefele afferma che a questi non era nemmeno arrivato l'invito al concilio e i due monaci (non vescovi) giunti da tali patriarcati non pretendevano di rappresentare gli stessi patriarchi.[3]
Il Concilio di Costantinopoli I, inizialmente inteso come sinodo locale,[4] è stato convocato nel 381 da Teodosio I, allora imperatore solo dell'Impero bizantino,[5] con partecipazione di 150 vescovi del suo dominio, ma senza i vescovi occidentali, compreso quello di Roma, che ha riconosciuto tale Concilio come ecumenico solo nel VI secolo.[6][7]
Tutti e sette i concili riconosciuti come ecumenici dalle Chiese cattolica e ortodossa sono stati convocati dagli Imperatori romani, i quali ne hanno poi ratificato i decreti. Ma questo criterio varrebbe pure per concili quali il Secondo Concilio di Efeso e il Concilio di Hieria, che nessuna Chiesa ora qualifica come ecumenici.[8][9]
L'ortodosso russo Aleksey Stepanovic Chomiakov (1804–1860) era dell'opinione che, per essere ecumenico, un concilio deve essere recepito dai fedeli, dalla base, una tesi rigettata da altri teologi ortodossi.[4] Secondo Robert L. Millet, non è affatto chiaro che il Concilio di Calcedonia sia stato «recepito dai fedeli, dalla base», dato che la maggior parte del Patriarcato di Alessandria e la metà circa di quello di Antiochia l'hanno rifiutato.[10]
Lo stesso dubbio riguardante l'accettazione del Concilio di Calcedonia da parte di alcuni patriarcati conta anche contro il criterio – avanzato a seguito del rigetto del Concilio di Hieria, che ha reso evidente l'insufficienza del criterio «imperiale» – del consenso pentarchico, cioè dell'approvazione di tutti e cinque i patriarcati dell'Impero romano, proprio quando le conquiste arabe avevano nella prassi ridotto i cinque in due: Roma e Costantinopoli.[9]
La Chiesa cattolica considera essenziale (pur senza dichiararlo unico) il criterio che «Mai si ha Concilio Ecumenico, che come tale non sia confermato o almeno accettato dal Successore di Pietro».[11] Per la Chiesa ortodossa, tale criterio è insufficiente, visto che essa non accetta come ecumenico il Concilio di Basilea, Ferrara e Firenze, al quale è stata conferita l'approvazione sia papale che imperiale.[8]
Un criterio che si può chiamare comune a tutte le Chiese cristiane ma che è anche diversificante è il giudizio delle singole Chiese sulla coerenza o meno dei decreti di un determinato concilio con i precedenti concili ecumenici, cioè il loro porsi in linea di continuità teologica, morale e disciplinare.
Secondo il Bellarmino, l'approvazione papale è l'elemento preminente o addirittura esclusivo che rende ecumenico un concilio.[13]
Verso la fine del XX secoloAlberto Melloni introdusse una distinzione tra Concili ecumenici e Concili generali, due termini generalmente trattati come sinonimi:[14][15][16] sarebbero generali ma non ecumenici i 4 concili lateranensi, 2 concili lionesi e quello di Vienne.[17] Tale tesi è stata rigettata da diversi storici e teologi.[12][18][19][20]
Alcuni teologi ortodossi sostengono la possibilità per la Chiesa ortodossa di tenere concili ecumenici nell'attuale situazione di separazione fra essa e il vescovo di Roma, e attribuiscono ecumenicità ai concili sull'esicasmo del 1341 e del 1351.[25]
La Chiesa cattolica riconosce come ecumenici un numero maggiore di concili rispetto alle Chiese ortodosse, che considerano invece tutti quelli convocati dal papa semplici sinodi locali (in base ai criteri di ecumenicità visti come stabiliti al Concilio di Nicea II nel 787).
^Testo in Atti del Concilio Niceno Secondo Ecumenico Settimo, introduzione e traduzione di P. G. Di Domenico, saggio encomiastico di C. Valenziano, Città del Vaticano, 2004, vol. II, pp. 279-280. Testo originale in: Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, vol. XIII, 208-209.
^" The first seven councils were convoked in the East by emperors and where thus typical of Eastern caesaropapism (state over church). (...) While both Roman Catholics and the Eastern Orthodox churches regard the first councils as ecumenical, Protestant churches also regard as valid many of the declarations of these councils. This is because these councils largely concerned themselves with controversies over the deity, person, and natures of Christ. After the split between the Roman Catholic (Western) and Orthodox (Eastern) churches each branch began its own authoritative councils." Walter A. Elwell (ed.), Evangelical Dictionary of Theology, Grand Rapids (MI), Baker Academic 2001 (second edition), p. 297.
Decisioni dei concili ecumenici, a cura di Giuseppe Alberigo, Torino, UTET, 1978.
Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura di G. Alberigo, G. L. Dossetti, P. P. Joannou, C. Leonardi e P. Prodi, consulenza di H. Jedin, edizione bilingue, Bologna, Edizioni Dehoniane, 1991.
Storia dei concili ecumenici, a cura di Giuseppe Alberigo, Brescia, Queriniana, 1990.
Storia ecumenica della Chiesa, a cura di R. Kottje e B. Moeller, 3 volumi, Brescia, Queriniana, 1980-1981.