L'attuale diocesi di Ozieri trae le proprie origini dalla medievale diocesi di Bisarchio o Bisarcio, cui fu unita quella di Castro[1].
Si sa molto poco delle origini del cristianesimo e della diocesi a Bisarcio. Probabilmente fu istituita, assieme a molte altre diocesi sarde, poco dopo la metà dell'XI secolo, all'epoca di papa Alessandro II (1061-1073), in concomitanza con il rafforzamento dell'autorità pontificia sulla Sardegna dopo secoli di relativo isolamento. La diocesi faceva parte del giudicato di Torres ed era suffraganea dell'arcidiocesi di Torres. Il primo documento che ne attesta l'esistenza risale - si stima - alla fine dell'XI secolo e fu uno di quelli scritti per rinnovare l'archivio della cattedrale in seguito ad un incendio.
Primi vescovi noti sono Nicodemo e Gavino, menzionati in un atto di compravendita all'epoca del giudice Mariano I di Torres (1065-1082).[2] Seguono Costantino Madrone (de Matrona), che redasse un atto di donazione nel 1082[3], e il vescovo Pietro, che prese parte, il 16 dicembre 1112, alla consacrazione dell'abbaziacamaldolese della Santissima Trinità di Saccargia. Forse in concomitanza con l'incendio della cattedrale, la residenza vescovile fu trasferita, per un periodo imprecisato, ad Ardara, che fu anche sede occasionalmente dei giudici di Torres.
Il territorio, molto meno esteso rispetto a quello di Castro, comprendeva le attuali Ardara, Nughedu San Nicolò, Ozieri e Tula; i villaggi, oggi scomparsi, di Butule, Urvei, Biduvè, Pianu, Lesanis, Pira e Mestighe; e altri centri di difficile identificazione come Lidinese, Ruabide, Retuba, Oraci e Ilanto.[4] Fungeva da cattedrale la basilica di Sant'Antioco.
La cattedrale, dopo l'incendio che la distrusse verso la fine dell'XI secolo, fu ricostruita ad opera del vescovo Giovanni Thelle e da lui riconsacrata nel 1164 o 1174; in questa occasione la sede vescovile ritornò nella sua sede primitiva.
Tra XII e XIII secolo, ovunque nell'isola si insediarono comunità monastiche, provenienti dalla penisola italiana o dal sud della Francia. Nella diocesi di Bisarcio sono documentate la comunità benedettina di San Nicola di Butule, e quella vallombrosana di Santa Maria di Coros a Tula.
Nel 1135 Ardara fu teatro di uno degli avvenimenti più importanti della Chiesa sarda: un concilio dell'episcopato sardo, al quale partecipò anche il vescovo di Bisarcio, di cui tuttavia non è noto il nome. Nel 1437 il vescovo Antonio Cano celebrò un sinodo diocesano, nel quale vennero prese delle disposizioni sulla vita dei chierici e sulla cura delle anime.
Tra i vescovi del XIII secolo, emerge la figura di Pietro Remenaro, sardo di origini genovesi, che svolse un ruolo politico di primaria importanza nella mediazione tra Genovesi e Pisani per il controllo della regione di Bisarcio.
Attorno al Quattrocento la crisi che colpì la Sardegna portò anche Bisarcio alla decadenza, sicché la sede vescovile venne trasferita per un periodo ad Ardara, infine nella vicina Ozieri. Dopo la morte del vescovo Giovanni, l'8 dicembre 1503 la diocesi fu soppressa, assieme a quella di Castro, con la bollaAequum reputamus di papa Giulio II e incorporata a quella di Alghero, dove il vescovo di Ottana aveva trasferito la sua sede.[5]
Queste disposizioni non furono ben accolte nelle diocesi soppresse e solo nel 1543 si ebbe la formale presa di possesso da parte del vescovo di Alghero delle antiche sedi di Castro, di Bisarcio e di Ottana.
La diocesi fu ristabilita da papa Pio VII il 9 marzo 1803 con la bolla Divina disponente, ricavandone il territorio dalla diocesi di Alghero e dall'arcidiocesi di Sassari. Benché avesse il nome di Bisarcio, a ricordo dell'antico centro, la sede vescovile era a Ozieri. La nuova diocesi corrispondeva a quelle medievali di Bisarcio e di Castro.
Nel primo periodo della sua istituzione (1804-1847), i vescovi si impegnarono non solo nella cura delle anime, ma anche nella promozione sociale "per arginare l'analfabetismo, promuovere l'agricoltura, costruire e sostenere strutture comunitarie, pacificare alcune popolazioni in lotta".[6] Contestualmente, la diocesi dovette fare i conti con periodici tentativi di sopprimerla, come avvenne nel 1816, nel 1835 e nel 1850.
A causa dei dissidi fra Chiesa e Stato, la diocesi rimase vacante dal 1847 al 1871, periodo durante il quale la legislazione sabauda alienò la maggior parte del patrimonio ecclesiastico, con conseguenze anche sul piano pastorale. Con la nomina di Serafino Corrias (1871-1896), la diocesi poté risollevarsi. "Il suo progetto pastorale si articolò in sei punti: collaborazione con le autorità civili, formazione del clero, educazione del laicato, istruzione religiosa del popolo, purificazione della pietà popolare, attenzione all'identità e ai valori specifici del territorio".[6]
Il 12 febbraio 1915, «suppressa antiqua Bisarchiensi denominatione»,[7] la diocesi ha assunto il nome attuale.
^Francesco Amadu, La Diocesi medioevale di Bisarcio. Raimondo Turtas, La cura animarum in Sardegna tra la seconda metà del sec. XI e la seconda metà del XIII, pp. 366-367.
^Francesco Amadu, La Diocesi medioevale di Bisarcio, pp. 26-27.
^Gams e Eubel e gli autori precedenti inseriscono un vescovo di nome Gentile nel 1287, escluso da F. Amadu, per la concomitante presenza di Pietro Remenaro, attestato dal 1283 al 1299.
^Un vescovo Gianuario, inserito nella cronotassi di Bisarcio dal Mattei, non è mai esistito; il documento che lo cita parla di Marzocco, non di Gianuario; cfr. Francesco Amadu, La Diocesi medioevale di Bisarcio, p. 23.
^Francesco Amadu, La Diocesi medioevale di Bisarcio, p. 23.
^Dette le dimissioni prima della consacrazione episcopale. Annuaire pontifical catholique, 1915, pp. 282, 838. Il 12 aprile 1915 fu nominato consultore della Congregazione Concistoriale (AAS 7, 1915, pp. 40, 194).