Per i suoi meriti sportivi, nel 2012 è stato inserito nella IAAF Hall of Fame.
Biografia
L'infanzia e gli inizi
Originario dell'Alabama, a nove anni Owens si trasferì con la famiglia a Cleveland, nell'Ohio. Conobbe miseria e povertà e visse secondo la filosofia "arrangiarsi per vivere", come altri milioni di ragazzi neri nel periodo della Grande depressione americana. Il nome Jesse gli venne dato da un'insegnante di Cleveland che non comprendeva il suo slang con un forte accento del sud, quando il piccolo James Cleveland disse di chiamarsi J.C..[1]
Studente delle scuole tecniche, dopo la scuola lavorò in un negozio di scarpe e, quando aveva tempo, si allenava nella corsa, sport da lui molto apprezzato. Nel 1933, ai campionati nazionali studenteschi, catturò improvvisamente l'attenzione di tutto il mondo sportivo con grandi prestazioni nella velocità e nel salto in lungo; questo gli fece ottenere l'ammissione nell'Università statale dell'Ohio, in realtà annunciata ufficialmente solo dopo che il padre ebbe ottenuto un posto di lavoro sicuro. Poté allora cominciare a dedicarsi seriamente all'atletica.
Il 25 maggio 1935, nell'arco di 45 minuti, al Big Ten meet di Ann Arbor, nel Michigan, stabilì i record mondiali di salto in lungo con la misura di 8,13 m (record destinato a durare fino al 1960), 220 iarde piane in rettilineo (20"3), 220 iarde a ostacoli in rettilineo (22"6, primo uomo a scendere sotto i 23"), ed eguagliò quello delle 100 iarde (9"4); da notare che i due record sulle 220 iarde erano validi anche per i 200 metri, sia piani che a ostacoli, per cui in realtà i record mondiali stabiliti o eguagliati da Owens in quella memorabile giornata furono sei.[1]
Il trionfo alle Olimpiadi del 1936
Owens vinse quattro medaglie d'oro ai Giochi olimpici di Berlino: il 3 agosto vinse i 100 m piani, il 4 agosto il salto in lungo, il 5 agosto i 200 m piani e il 9 agosto la staffetta 4×100 m.[2] Owens, sazio di successi (e ignaro del fatto che stava per stabilire un record storico) era pronto a rinunciare alla staffetta per lasciare il posto alle riserve. Dichiarò: "Ho già vinto tre medaglie d'oro. Lasciamoli gareggiare, se lo meritano!". Ma i suoi dirigenti, che vollero mettere in campo la squadra migliore, gli ordinarono di rimanere in pista.
Dopo essere stato aggiunto alla squadra della staffetta, il 9 agosto concluse le sue fatiche olimpiche con la vittoria in quest'ultima specialità.[2] Il suo record di quattro ori in una stessa Olimpiade (nell'atletica leggera) fu eguagliato soltanto ai Giochi olimpici di Los Angeles 1984 dal connazionale Carl Lewis, che vinse quattro ori nelle stesse gare.
Il presunto mancato saluto di Hitler
(EN)
«Hitler didn’t snub me—it was [Roosevelt] who snubbed me. The president didn’t even send me a telegram.[3][4]»
(IT)
«Hitler non mi snobbò; fu Roosevelt che mi snobbò. Il presidente non mi mandò nemmeno un telegramma.»
Ai Giochi olimpici di Berlino è legato un controverso episodio che vide protagonisti Jesse Owens e Adolf Hitler. Nel pomeriggio di quel 4 agosto, infatti, allo stadio olimpico era presente anche il Führer. Di fronte alla vittoria nel salto in lungo di Owens contro il tedesco Luz Long (il migliore atleta tedesco, nonché amico di Owens), si disse[5] che il Führer, indispettito, si era alzato ed era uscito dallo stadio per non stringere la mano all'atleta afroamericano. Successivamente, come scrisse nella sua autobiografia The Jesse Owens Story, Owens stesso raccontò come Hitler si alzò in piedi e gli fece un cenno con la mano:
«Dopo essere sceso dal podio del vincitore, passai davanti alla tribuna d'onore per rientrare negli spogliatoi. Il Cancelliere tedesco mi fissò, si alzò e mi salutò agitando la mano. Io feci altrettanto, rispondendo al saluto. Penso che giornalisti e scrittori mostrarono cattivo gusto inventando poi un'ostilità che non ci fu affatto.»
Il fatto venne confermato anche da Eric Brown (1919–2016), pilota della Fleet Air Arm, che nel 2014 dichiarò in un documentario della BBC:[7]
«Sono stato testimone del saluto a Jesse Owens di Hitler, il quale si congratulò con lui per i risultati raggiunti.»
(Eric Brown, Britain's Greatest Pilot: The Extraordinary Story of Captain Winkle Brown)
Il presidente statunitense dell'epoca, Franklin Delano Roosevelt, in quel periodo impegnato nelle elezioni presidenziali del 1936 e preoccupato della reazione degli Stati del sud, ricevette
alla Casa Bianca solo gli atleti bianchi e nessuno dei 18 atleti afroamericani che avevano gareggiato ai Giochi olimpici di Berlino.[4] Owens quindi si iscrisse al Partito Repubblicano, facendo campagna per il suo candidato alla presidenza per il 1936 Alf Landon.
Dopo Berlino
Dopo Berlino passò al professionismo, disputando anche gare ad handicap. Owens concedeva ai velocisti locali dieci o venti iarde di vantaggio, battendoli ugualmente sulla distanza delle 100 iarde. Inoltre sfidò e sconfisse dei cavalli da corsa, anche se con un trucco, che consisteva nel correre contro dei veri e propri purosangue che si sarebbero spaventati con il colpo di pistola dello starter, concedendogli un buon vantaggio. Poi passò all'insegnamento.
Nel dopoguerra cominciò un nuovo lavoro come preparatore atletico della famosa squadra di pallacanestro degli Harlem Globetrotters, scendendo anche lui sul parquet e dando dimostrazioni dello scatto dai blocchi e della tecnica di passaggio degli ostacoli.
Nel 1955 il Presidente Dwight Eisenhower, repubblicano ed ex atleta, lo nominò "Ambasciatore dello Sport".[3]
«Owens ha superato le barriere del razzismo, della segregazione e del bigottismo mostrando al mondo che un afro-americano appartiene al mondo dell'atletica.[9]»
Per tutta la vita egli attribuì il successo della sua carriera all'incoraggiamento di Charles Riley, il suo allenatore di atletica delle scuole medie, che lo aveva preso dal cortile della ricreazione e messo nella squadra di atletica (si veda Harrison Dillard, un atleta di Cleveland ispirato da Owens).
Nel dicembre 2013, una delle medaglie vinte da Owens ai Giochi olimpici di Berlino 1936 è stata battuta all'asta al milionario Ron Burkle per 1,4 milioni di dollari.[11][12]
Vita privata
Nel 1935 sposò Minnie Ruth Solomon (1915-2001), con cui rimase fino alla morte. Insieme ebbero tre figlie: Gloria (1932), Marlene (1937) e Beverly (1940).