Da quel momento in poi il suo impegno nella resistenzaantifascista divenne ancora più intenso[1]. Insieme a Gian Carlo Pajetta fu uno dei fondatori delle brigate Garibaldi, che diedero un contributo fondamentale alla Liberazione e alla lotta antinazista e antifascista in Italia e, in particolare, in Piemonte. Commissario politico di una Brigata Garibaldi, fu gravemente ferito in un incidente motociclistico nel 1944, e si fece curare in Francia. Tornato in Italia nell'aprile del 1945, riprese l'impegno politico.
Solamente dopo la sua morte, la figlia Rosa ha rintracciato un diario di Giolitti scritto durante l'esperienza partigiana, che è stato pubblicato nel 2015.[2]
Nel 1957, in seguito ai rivolta ungherese del 1956, abbandonò il PCI. Il discorso che pronunciò al Congresso del PCI nel 1956, accanto ad un attonito Palmiro Togliatti, fu per anni ricordato come il richiamo etico contro la politica.[3]
Adesione al PSI e ministro nei relativi governi
Aderì quindi al Partito Socialista Italiano (PSI), nelle cui liste fu rieletto deputato dal 1958 al 1976, quando si dimise nel 1977, in seguito alla nomina a commissario europeo.
Fu ministro del Bilancio dal 4 dicembre 1963 al 22 luglio 1964, nel primo governo di centrosinistra con la partecipazione di ministri socialisti. A causa del raffreddarsi dell'impegno riformista, rifiutò di far parte del successivo secondo governo Moro.
Contrario all'unificazione socialista, fino al 1969 mantenne un atteggiamento critico nei confronti della dirigenza del partito ma, una volta ricostituito il gruppo socialista alla Camera nell'agosto 1969, accettò di assumerne la presidenza.[4] Dal 27 marzo 1970 al 17 febbraio 1972 e dal 7 luglio 1973 al 23 novembre 1974 fu ministro del Bilancio e della Programmazione economica nei governi di centrosinistra organico guidati da Mariano Rumor e da Emilio Colombo. Giolitti fu uno dei principali ispiratori della programmazione economica avvalendosi della collaborazione di Giorgio Ruffolo in qualità di Segretario Generale alla Programmazione.
La polemica col segretario e le dimissioni dal PSI
Nel 1985, in polemica con Bettino Craxi e la sua politica, abbandonò pubblicamente il PSI, da cui aveva incominciato a prendere le distanze già dal 1982,[5] e nel 1987 ritornò ad avvicinarsi al PCI, nelle cui liste fu eletto senatore come indipendente. Al termine della legislatura nel 1992 si ritirò definitivamente dalla politica attiva.
Decesso e funerali
Muore l'8 febbraio 2010, pochi giorni prima di compiere 95 anni, nella sua casa di Roma.[6][7][8]
Oltre all'impegno politico, Giolitti ebbe anche un fecondo impegno intellettuale, iniziatosi con la collaborazione con la Giulio Einaudi Editore. Grazie alla sua padronanza di diverse lingue (inglese, tedesco e francese), suggerì spesso la traduzione di saggi di economia. Fu lui stesso traduttore di alcuni saggi: tra di essi i saggi di Max Weber sulla politica e la scienza come professione. Sua moglie, Elena D'Amico in Giolitti, fu anche lei traduttrice dal francese per l'Einaudi di varie opere, tra le quali Sodoma e Gomorra, uno dei sette volumi della Ricerca del tempo perduto di Marcel Proust.
La sua uscita dal Pci dopo i fatti d'Ungheria provocò notevole dibattito, anche intellettuale, nella sinistra italiana, anche a causa dell'autorevolezza e della sobrietà di Giolitti.[9]
Antonio Giolitti scrisse importanti saggi politici. Nel 1992 pubblicò Lettere a Marta (Il Mulino), un volume autobiografico di riflessioni e ricordi personali indirizzati alla nipote Marta Craveri, che spesso lo interrogava sulle vicende storiche alle quali egli aveva partecipato.
«Di iniziativa del Presidente della Repubblica» — Roma, 27 ottobre 2006[12]
Note
^Si veda il profilo biografico dell'Istituto Piemonte per la storia della resistenza e della società contemporanea ( Profilo biografico: Antonio Giolitti, su metarchivi.istoreto.it, 7 giugno 2011 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2014)). Si veda anche il profilo dell'ANPI ( Antonio Giolitti, su anpi.it. URL consultato il 18 ottobre 2023).