Sede arcivescovile è la città di Albi, dove si trova la cattedrale di Santa Cecilia. Nell'arcidiocesi sorgono due chiese ex cattedrali: la chiesa di San Benedetto, ex cattedrale della diocesi di Castres, e la chiesa di Sant'Alano, ex cattedrale della diocesi di Lavaur.
Il territorio si estende su 5.782 km² ed è suddiviso in 507 parrocchie.
Storia
Secondo la tradizione, primo evangelizzatore e protovescovo della diocesi di Albi è san Claro, cui sarebbe succeduto il suo discepolo Antimo. Primo vescovo storicamente documentato è Diogeniano, menzionato da Gregorio di Tours all'inizio del V secolo; dopo di lui Sabino prese parte al concilio di Agde del 506.
Verso la fine del XII secolo il catarismo si affermò in tutta la Linguadoca attraverso la predicazione nei villaggi: si diffuse soprattutto nella diocesi di Albi, a tal punto che i catari furono chiamati semplicemente albigesi. Contro di loro fu indetta nel XIII secolo una vera e propria crociata, chiamata crociata albigese, richiesta da Raimondo VI di Tolosa al concilio Lateranense IV nel 1215; dichiarati eretici, gli albigesi furono estirpati verso la metà del secolo, con la forza delle armi e con il lavoro dell'inquisizione, istituita proprio per questa occasione.
La vittoria sugli Catari e la contestuale caduta dei signori Trencavel, che dominavano Albi, aumentarono di molto il potere, spirituale e temporale, dei vescovi; in questo contesto sorse la città episcopale, segno della potenza e della ricchezza dei vescovi albigesi.
Il 29 dicembre 1296 la diocesi di Albi divenne la seconda diocesi francese, dopo quella di Rodez, ad adottare il rito romano.[2]
Il 9 luglio 1317 cedette una porzione del suo territorio a vantaggio dell'erezione della diocesi di Castres.
Durante il XVI secolo la regione di Albi fu tra le più colpite e devastate dalle guerre di religione; i successi della riforma protestante furono estirpati solo al prezzo di sanguinose battaglie, che coinvolsero la diocesi per oltre vent'anni (1572-1595).
Nell'ottobre del 1679Giacinto Serroni, primo arcivescovo, istituì il seminario arcivescovile. Nel 1683 fece erigere un nuovo edificio per ospitare il seminario e l'anno seguente affidò l'insegnamento ai Gesuiti, che dal 1623 avevano stabilito un collegio ad Albi.[3] Serroni, che celebrava un sinodo annuale il mercoledì della seconda settimana di Pasqua e compiva regolarmente la visita pastorale delle parrocchie[4], e soprattutto il suo successore Charles Le Goux de la Berchère furono i principali riformatori dell'arcidiocesi in linea con le direttive del concilio di Trento.
Alla vigilia della rivoluzione l'arcidiocesi, suddivisa in 21 distretti, comprendeva 214 parrocchie e 128 chiese annesse, suddivise in 4 arcidiaconati: Albi (o Dénat), Puy-Saint Georges, Castelnau de Montmiral e Lautrec (o Mazières).[5] Il capitolo della cattedrale era composto da 20 canonici e da molti altri dignitari; in origine i canonici erano religiosi che seguivano la regola di sant'Agostino; furono secolarizzati da papa Bonifacio VIII nel 1297.[6]
Nel giugno 1817 fra Santa Sede e governo francese fu stipulato un nuovo concordato, cui fece seguito il 27 luglio la bolla Commissa divinitus, con la quale il papa restaurava la sede di Albi; fu nominato arcivescovo Charles Brault, trasferito dalla sede di Bayeux. Tuttavia, poiché il concordato non entrò in vigore in quanto non ratificato dal Parlamento di Parigi, la nomina di Brault non ebbe effetto.
Il 6 ottobre 1822 in forza della bolla Paternae charitatis del medesimo papa Pio VII l'arcidiocesi fu definitivamente ristabilita, ricavandone il territorio dalla diocesi di Montpellier. In questa occasione Charles Brault poté lasciare la sede di Bayeux e prendere possesso della sua nuova residenza. La nuova provincia ecclesiastica comprendeva le precedenti suffraganee di Rodez, Cahors e Mende, e la nuova suffraganea di Perpignano.
Il 17 febbraio 1922 gli arcivescovi di Albi ebbero il privilegio di aggiungere al proprio titolo quello di vescovi di Castres e di Lavaur, sedi soppresse che ricadono nella presente diocesi.
L'8 dicembre 2002, con la riorganizzazione delle circoscrizioni ecclesiastiche francesi, Albi ha perso la dignità metropolitica pur mantenendo il titolo arcivescovile ed è divenuta sede suffraganea dell'arcidiocesi di Tolosa.[7]
Cronotassi dei vescovi
Si omettono i periodi di sede vacante non superiori ai 2 anni o non storicamente accertati.
^Ammesso da tutte le fonti tradizionali, ma escluso da Duchesne in quanto il suo nome appare in un manoscritto di Jean Savaron frutto del lavoro di un falsario, Polycarpe de la Rivière.
^Successore di Salvio secondo la Historia Francorum di Gregorio di Tours.
^Le fonti tradizionali ammettono questo vescovo nella seconda metà del VII secolo; secondo Duchesne (op. cit., p. 43) invece quest'epoca è quella in cui fu ritrovato il manoscritto che menziona Didone, ma non è l'epoca in cui venne scritto e dunque l'epoca in cui ha vissuto il vescovo.
^Il Chronicon episcoporum Albigensium et abbatum Castrensium contiene un catalogo episcopale di Albi con cronologia, composto da una serie di 32 nomi che inizia con Costanzo e termina con Guillaume de Pierre de Brens (inizio XIII secolo); include nomi di vescovi ignoti alla storia, ma disconosce al contempo vescovi certi e documentati storicamente. Secondo Duchesne (op. cit., p. 42) questo catalogo non è da disdegnare, perché potrebbe essere stato redatto in base alle carte originali del monastero. I vescovi da Citroino a Panderio sono inclusi nel catalogo, ma secondo Duchesne non hanno alcun riscontro storico.
^Questo vescovo non è incluso nel catalogo del monastero di Castres. Menzionato da tutte le fonti bibliografiche citate, ad eccezione di Duchesne e del d'Auriac.
^Dopo Panderio, Gams, unico tra le fonti bibliografiche citate, menziona con un punto interrogativo un vescovo di nome Agamberto.
^Il catalogo del monastero di Castres inserisce tre vescovi di nome Lupo con gli anni 869, 870 e 879; storicamente un Lupo è documentato solo nell'876, quando prese parte al concilio di Ponthion di quell'anno.
^I vescovi Eligio, Adoleno e Godelrico sono ignoti al catalogo del monastero di Castres.
^I vescovi Angelvino, Mirone e Bernardo sono ignoti al catalogo del monastero di Castres.
^D'Auriac e Gams parlano del suo trasferimento a Nîmes, avvenimento ignorato dagli altri autori citati tra le fonti bibliografiche; e solo Gams cita il 987 come l'anno di questo trasferimento.
^Secondo gli autori dell'Histoire générale de Languedoc, Amelio era già vescovo nel 975.
^I vescovi Amelio I e Ingelbino sono assenti nel catalogo del monastero di Castres.
^Il catalogo menziona due Amelio nel 1020 e nel 1030. L'Histoire générale de Languedoc prolunga il suo episcopato fino al 1040.
^Il catalogo del monastero di Castres cita questo vescovo nell'anno 1052, ma quest'epoca è incompatibile con la presenza del vescovo Guillaume II al concilio di Narbona del 1054.
^I vescovi Hugues II e Aldegaire II sono assenti nella cronotassi riportata dal D'Auriac. Secondo Gams, Aldegaire II e III potrebbero essere la stessa persona, cosa tuttavia esclusa dagli autori dell'Histoire générale de Languedoc.
^I vescovi Aldegaire II e Arnaud de Cessenon sono assenti nel catalogo del monastero di Castres.
^Il 12 giugno 1136 la sede di Albi era vacante; cfr. Histoire générale de Languedoc p. 385.
^Questo vescovo è assente in D'Auriac; sulla cronologia, Gams e Histoire générale de Languedoc non sono d'accordo, il primo menzionandolo nel 1065 e il secondo nel 1176.
^Eubel riporta come data di decesso il 9 novembre 1520.
^Nominato dal re francese il 31 gennaio 1687 è confermato dalla Santa Sede solo nel 1693.
^Il 2 giugno 1759 fu nominato arcivescovo di Rouen.
^Il 9 luglio 1764 fu nominato arcivescovo di Cambrai.
^Il 27 settembre 1819 fu nominato arcivescovo di Rouen.