L'iconografia di Maria, cioè il modo di rappresentare la figura della Madonna nell'arte sacra, ha raggiunto una forma stabile e ben definita dopo i primi secoli del Cristianesimo al pari della figura di Gesù.
Storia
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Prime rappresentazioni
La prima rappresentazione di Maria potrebbe trovarsi in un affresco di una chiesa di Dura-Europos, risalente al III secolo. Nell'affresco compare una donna che attinge acqua al pozzo ed è perciò stata inizialmente interpretata come la samaritana dei vangeli. Alcuni particolari, però, hanno suggerito che il soggetto rappresentato sia l'Annunciazione a Maria.[1] Un'altra rappresentazione potrebbe essere un'immagine della Vergine Maria, situata nelle Catacombe di Priscilla a Roma. Raffigurante la Madonna che sta allattando Gesù Bambino. Questa è una delle prime immagini conosciute di Maria e del Bambino Gesù indipendente dall'episodio dei Magi, risalente al III secolo. La figura a sinistra, secondo Garrucci, rappresenta il profeta Balaam che indica una stella (fuori dalla cornice). Secondo la recente interpretazione di Giorgio Otranto, invece, la figura in piedi rappresenta il profeta David, in quanto la raffigurazione farebbe riferimento al Salmo 109: dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato.[2]
Aspetto fisico di Maria
La ricerca di un volto prototipale per Maria ha luogo a partire dal VI secolo. Occorre attendere il concilio di Efeso (431), in cui si discusse del mistero dell'unione della divinità e dell'umanità di Cristo. La conclusione, ribadita dal concilio di Calcedonia (451), fu riassunta con la formula dell'unione di due nature [inconfuse e immutate (contro i monofisiti), indivise e inseparabili (contro i nestoriani)], ambedue concorrenti in una persona e una ipostasi. Corollario di questa unione inscindibile delle due nature di Cristo era la "promozione" di Maria al ruolo di Madre di Dio ossia Theotokos e non solo di madre del corpo umano in cui il Verbo si era incarnato. Anche Maria poteva ora salire agli onori degli altari, senza che ciò sembrasse blasfemo.
Le conclusioni del concilio di Efeso e la convocazione del concilio di Calcedonia sono attribuite alla sintonia fra il papa e Elia Pulcheria, sorella maggiore dell'imperatore Teodosio II. Dopo il concilio di Efeso Pulcheria fece erigere in Costantinopoli tre chiese dedicate a Maria e a custodirne le reliquie: Santa Maria Odighitria, Santa Maria delle Blacherne e Santa Maria delle Calcopratie. La più importante icona era quella Odighitria, che secondo Teodoro il Lettore (che scrive nel 520) sarebbe stata trovata in Palestina nel 438 da Eudocia, moglie di Teodosio II e subito inviata a Costantinopoli.[3] Nelle altre due chiese, invece, erano custoditi il mantello (Maphorion) della Vergine e la sua cintura (quella donata a San Tommaso, di cui esiste un'insigne reliquia a Prato). Le icone venerate in queste tre chiese furono prototipi imitati innumerevoli volte in cappelle e santuari di tutta la cristianità. Il mantello e la cintura della Vergine diventarono ingredienti importanti anche dell'iconografia occidentale.
Secondo Teodoro l'esecuzione della Odighitria era dovuta a San Luca, l'evangelista che parla più diffusamente dell'infanzia di Gesù, riferendo notizie che secondo la tradizione solo Maria poteva avergli raccontato. Si potrebbe pensare che l'evangelista sia stato trasformato anche in pittore a garanzia che l'icona era un vero ritratto (e perciò assicurava una presenza più "efficace"). Il colorito scuro della Madonna Odighitria (considerata una Madonna Nera) rende possibile anche una diversa interpretazione: l'attribuzione a San Luca non sarebbe sorta per indicare il pittore ma per caratterizzare il significato dell'icona. Come conferma anche il colorito della carnagione della Vergine (il nero, infatti, è simbolo di dolore), una "Madonna di San Luca" sarebbe una madonna addolorata (cfr. il versetto 2, 35 del vangelo di Luca).
L'icona dell'Odighitria fu per secoli il "palladio" di Costantinopoli. Dopo le preghiere a lei rivolte nel 626 una tempesta fece arenare proprio davanti alla grande chiesa di Santa Maria delle Blacherne la flotta persiana che assediava Costantinopoli. Eventi analoghi ebbero luogo nei decenni successivi. L'icona andò perduta durante la conquista Turca di Costantinopoli, ma ne conosciamo l'apparenza dalle molte riproduzioni antiche. Recentemente, poi, Margherita Guarducci ha fornito affascinanti motivazioni per credere che l'icona sia proprio quella oggi venerata ad Avellino nel santuario della Madonna di Montevergine.[4]
La tipologia della Odighitria fu molto utilizzata e diede luogo anche ad alcune varianti. Ad esempio nelle "Madonne della Passione" il Bambino sembra aver avuto un presentimento della Passione ed essersi rivolto alla madre per conforto. Anche la tipologia "Eleusa" (compassionevole), la tipologia di icona più diffusa, può ricordare la Odighitria; l'enfasi però è sull'atteggiamento di compianto della Vergine verso Gesù Bambino.
Notevolmente diversa, invece, è la tipologia chiamata Platytera: la theotókos è in posizione frontale con le mani alzate in segno di preghiera e di accettazione; sul petto è dipinto Gesù Bambino all'interno di un clipeo. L'icona rappresenta la Vergine Maria durante l'Annunciazione nel momento in cui risponde "Sia fatto secondo le tue parole" (Luca, 1, 38), il momento del concepimento di Gesù. Il Bambino non è rappresentato come un feto ma con colori e simboli che ricordano la sua gloria divina e/o entrambe le nature e il suo ruolo di maestro.
Questo tipo di icona è detto poeticamente "Platytera" (dal greco: Πλατυτέρα, più ampia); accogliendo, infatti, nel suo grembo il Creatore dell'Universo Maria è diventata "Platytera ton ouranon" (Πλατυτέρα των Ουρανών): "Più ampia dei cieli". La Platytera è un motivo iconografico riprodotto usualmente sul catino dell'abside delle chiese ortodosse.
Le lettere ΜΡ ΘΥ, poste spesso a sinistra e a destra sopra il capo di Maria sono una abbreviazione per ΜΗΤΗΡ ΘΕΟΥ, "Madre di Dio".
Canoni di raffigurazione
La raffigurazione di Maria è stata oggetto di numerosi artisti di ogni epoca, pittori e scultori, dall'Alto Medioevo, al Basso Medioevo, al Rinascimento, al periodo barocco fino al XX secolo. Le rappresentazioni più comuni sono quelle:
Il presepe è la ricostruzione scenografica della natività di Cristo. Vi appaiono vari personaggi, tra i quali irrinunciabili sono Gesù bambino nella mangiatoia, Maria, Giuseppe, l'asino e il bue, collocati entro una capanna. Soprattutto a Napoli vi è un'importante tradizione presepistica che risale almeno al Settecento.
Note
^Mary Joan Winn Leith, Earliest Depictions of the Virgin Mary, Biblical Archaeology Review, March/April 2017, Vol. 43 N° 2.
^ Giorgio Otranto, Tra esegesi patristica e iconografia: il personaggio maschile in una scena di Priscilla, in «Vetera Christianorum», n. 20, 1983, pp. 305-328.
^Theodorus Lector, Historia Ecclesiastica, 1,5 – in Patrologia Graeca : LXXXV, 165.
^ Pina Baglioni, La Madonna che indica la strada, su piccolenote.it, 11 maggio 2016. URL consultato il 18 marzo 2024 (archiviato dall'url originale il 2 maggio 2018).