Dopo la fugace visione di Dio, realizzazione piena del suo itinerarium mentis in Deum (per definirlo con le parole di san Bonaventura), Dante sente che l'Amore "che move il sole e l'altre stelle" sta ormai muovendo anche il suo desiderio e la sua volontà (vv. 142-145). Dante così si riconosce "nella solitudine infinita del solo Dio",[1] collocandosi nella perfezione del moto circolare divino.
Le stelle, osserva Attilio Momigliano,[2] sono la meta di Dante e perciò ricorrono nel verso finale di ogni cantica della Divina Commedia: una rispondenza che «non è pura simmetria, ma espressione del motivo ideale che corre attraverso il poema e lo innalza costantemente verso la meta». Con questo verso, Dante racchiude il significato dell'intera opera, di Dio, dell'universo e del fatto che l'amore è il meccanismo del mondo e di tutta la vita.
Note
^La Divina Commedia. Paradiso, Letture e commento di Vittorio Sermonti, Milano, Bruno Mondadori, 1996, p. 528.
^La Divina Commedia.Inferno, con i commenti di Tommaso Casini, Silvio Adrasto Barbi e di Attilio Momigliano, Firenze, Sansoni, 1979.