L'omicidio è collocabile in un contesto storico che, verso la fine della loro storia, agli inizi degli anni ottanta, vide i NAR protagonisti di una sorta di campagna di vendette e di regolamenti di conti tutta interna dell'ambiente della destra eversiva, nei confronti di presunti delatori, infami e cosiddetti approfittatori.
«Secondo il modo di pensare dei NAR, nei confronti dei nemici bisognava avere rispetto, anche se vengono condannati a morte per quello che fanno. Nei confronti dei traditori, invece, tale rispetto non può esservi e pertanto vanno annientati [...] penso che Pizzari sia stato ucciso per motivi personali e poi qualcuno ne abbia rivendicato la morte collocandosi nell'area dei NAR. Voglio dire che è stato ucciso perché ha fatto arrestare due persone e ne ha cagionato la morte di una, ma il Pizzari non aveva partecipato alla lotta, e, quindi, non poteva considerarsi un traditore»
(Francesca Mambro da A mano armata di Giovanni Bianconi[3])
Uno degli obiettivi da colpire, decisi dal gruppo terroristico, venne individuato proprio in Pizzari: 23 anni, diploma da geometra, figlio di un gioielliere, si era appena congedato dal servizio militare con il grado di sottotenente.
Vicino di casa e amico di vecchia data di Luigi Ciavardini, durante il periodo di arresti seguiti alla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, era stato più volte sentito dalla polizia giudiziaria e dalla magistratura in quanto indirettamente coinvolto nelle vicende riguardanti l'alibi di Ciavardini (che venne poi condannato per quella strage) che nella giornata del 1º agosto 1980, avrebbe fatto avvertire per telefono la sua fidanzata Elena Venditti, Pizzari e Cecilia Loreti (fidanzata di Pizzari) di spostare per spostare un appuntamento a Venezia, fissato per il 2 agosto, il giorno della strage, al 4 agosto.[4] Interrogata nei mesi dopo la strage, la Loreti dichiarò: «a proposito di questo fatto, ricordo che, dovendo partire il 1º agosto per Venezia, giunse a casa di Marco una telefonata di un amico, che poi era il Ciavardini, il quale disse di non partire più in quanto vi erano dei gravi problemi. Il 2 agosto vi fu la strage e successivamente io collegai le due cose, tanto che mi preoccupai di chiedere al Ciavardini, che vidi il successivo giorno 4, quali erano questi problemi e lui mi disse genericamente che aveva avuto da fare per via di alcuni documenti che doveva attendere. Anche per tale motivo chiesi sia alla Venditti che al Ciavardini se per caso loro ci entrassero con la strage, ma mi risposero che queste cose loro non le facevano, mostrandosi anzi indignati».[5]
Luigi Ciavardini ammise di avere fatto la telefonata, giustificando il differimento della partenza con la motivazione di dover reperire nuovi documenti di identità falsi di cui aveva bisogno nella sua condizione di latitante.[6]
Molti neofascisti, nei mesi dopo la strage alla stazione di Bologna, si convinsero che Pizzari avesse collaborato con la polizia e che fosse responsabile dell'arresto dello stesso Ciavardini e di Nanni De Angelis, e quindi anche della morte di quest'ultimo[7].
Il 30 settembre 1981, nei pressi di piazza delle Medaglie d'Oro alla Balduina, un commando dei NAR travestiti da agenti di polizia e formato da Gilberto Cavallini, Alessandro Alibrandi, Giorgio Vale, Stefano Soderini e Francesca Mambro a bordo di una Fiat Ritmo blu bloccò la Fiat Panda di Pizzari mostrandogli una paletta e, quando questi scese dall'auto per recarsi verso quella che ritenne essere una pattuglia in borghese, fu ucciso da colpi di arma da fuoco, due alla testa e una al torace[8].
Il volantino di rivendicazione del delitto recitava:
«Il 30 settembre abbiamo giustiziato l'infame delatore Marco Pizzari, responsabile della cattura e dell'assassinio del militante rivoluzionario Nazareno De Angelis, che, pur non appartenendo alla nostra organizzazione, godeva della stima e del rispetto di quanti di noi l'hanno conosciuto. La sua morte gridava vendetta e vendetta è stata anche se solo in parte: altri ancora dovranno pagare, non ultimi coloro i quali non hanno perso tempo a vendicarlo con le parole dai soliti lidi»
(Volantino di rivendicazione da "Il piombo e la celtica. Storie di terrorismo nero" di Nicola Rao[9])
Nel 2018, Cecilia Loreti, fidanzata di Pizzari all'epoca dei fatti, chiamata a testimoniare al processo presso la Corte d’assise che vedeva imputato Gilberto Cavallini per concorso in strage alla stazione di Bologna del 1980, dichiarò: «Lo Stato ha riconosciuto la famiglia di Marco come vittima, siamo sempre stati trattati con fermezza ma con onestà intellettuale. Noi non eravamo traditori, perché non si può tradire qualcosa di cui non si fa parte».[10]
Giovanni Bianconi, A mano armata. Vita violenta di Giusva Fioravanti, Dalai, 2007, ISBN88-6073-178-X.
Nicola Rao, Il piombo e la celtica. Storie di terrorismo nero. Dalla guerra di strada allo spontaneismo armato, Sperling & Kupfer, 2008, ISBN978-88-200-4773-3.