L'attestazione più antica dell'esistenza di una comunità cristiana in Pavia è nella Vita Martini[1], la biografia di san Martino di Tours scritta dal suo discepolo Sulpicio Severo. In essa si narra che Martino, che a quel tempo era ancora fanciullo e viveva a Ticinum (nome latino della città), fuggì di casa e ad ecclesiam confugit (si rifugiò nella chiesa): l'episodio si collocherebbe negli anni intorno al 325-330 (essendo Martino nato nel 316 o 317) e pur con tutte le cautele interpretative del caso, indicherebbe l'esistenza di una "chiesa" (una comunità cristiana o un edificio di culto) a Pavia negli anni immediatamente successivi all'Editto di Milano (313) e al Concilio di Nicea (325)[2].
Il primo vescovo pavese documentato da fonti antiche è Invenzio o Evenzio, che compare tra i vescovi che parteciparono al concilio di Aquileia del 381, guidato da Ambrogio di Milano, il quale inoltre parla di Evenzio nella sua opera De officiis ministrorum, scritta verso il 390.[3]
Secondo la tradizione locale, tuttavia, il fondatore e protovescovo della città fu Siro, vissuto nella prima metà del IV secolo. Una leggenda di epoca tardo-medievale lo identificava con il fanciullo che, nel capitolo 6 del vangelo secondo Giovanni, offre a Gesù i pani e i pesci per il miracolo della loro moltiplicazione: da qui l'iconografia consueta del santo, che lo raffigura in abiti episcopali con ai piedi un cesto contenente, appunto, pani e pesci.[4]
Capitale del regno dei Longobardiariani, Pavia visse per decenni con un duplice episcopato, cattolico ed ariano, situazione che ebbe termine con un atto del re Ariperto I († 661), che pose fine alla gerarchia ariana; in questa occasione il vescovo ariano Anastasio si convertì al cattolicesimo.
Nel 679 il vescovo di Pavia partecipò al concilio provinciale di Milano, indizio molto probabile dell'appartenenza di Pavia alla provincia ecclesiasticamilanese.
Verso l'inizio dell'VIII secolo l'elezione del vescovo sant'Armentario suscitò alcuni contrasti per la giurisdizione metropolitica, da cui si deduce che in questo tempo la diocesi di Pavia non era soggetta all'autorità metropolitica dell'arcidiocesi di Milano, probabilmente a causa dell'emancipazione politica durante il dominio longobardo. Forse da questo momento inizierà l'indipendenza ecclesiastica della Chiesa pavese dalla giurisdizione metropolitica di Milano e la sua immediata soggezione alla sede romana[5].
Tra il X e l'XI secolo si formò il territorio dipendente dal vescovo di Pavia con l'acquisizione o la cessione alla mensa episcopale di pievi dotate dello ius baptizandi; in una bolla di papa Onorio III del 1217[6] viene offerta una panoramica delle dipendenze del vescovo all'inizio del XIII secolo.
Nel 1423 fu indetto a Pavia un concilio, che fu poi traslato a Siena, ma le sue conclusioni tacciate di eresia, furono rifiutate e lo stesso concilio non fu riconosciuto come concilio ecumenico.
Subito dopo il Concilio di Trento il vescovo Ippolito Rossi eresse il seminario diocesano. Lo stesso vescovo sostenne vigorosamente e vittoriosamente una controversia con san Carlo Borromeo, che voleva assoggettare la sede di Pavia alla potestà metropolitica dell'arcidiocesi di Milano. Inoltre ebbe da papa Sisto V una nuova conferma delle antiche prerogative della diocesi, fra cui l'uso del pallio.
Il 15 febbraio 1743papa Benedetto XIV con la bollaAd supremam equidem[7] concesse ai vescovi di Pavia di aggiungere al proprio il titolo di arcivescovi di Amasea.
Il 1º giugno 1803 fu assegnata come suffraganea alla provincia ecclesiastica milanese e tale fu confermata il 16 febbraio 1819 con la bolla Paternae charitatis di papa Pio VII[8], con la quale si stabiliva che la suffraganeità sarebbe cominciata con la morte del vescovo in carica, Paolo Lamberto D'Allègre, avvenuta nel 1821. Con la stessa bolla Paternae charitatis fu revocata l'unione del titolo di Amasea con quello di Pavia.
Il 2 gennaio 1809 la diocesi rinunciò alle parrocchie piacentine della pieve di Fontana Fredda, con Roveleto di Cadeo, e della pieve di Val Nure o pieve di Revigozzo, con Bettola (San Bernardino e San Giovanni), Bramaiano, Groppoducale, Rigolo, Cogno San Bassano (oggi nel comune di Farini), Leggio, Monte Ossero, Santa Maria, La Costa, Olmo, Vigolo che passarono quindi alla diocesi di Piacenza.[9][10][11]
Il 26 novembre 1817 in forza del breve Cum per nostras litteras dello stesso papa Pio VII la diocesi cedette tutte le parrocchie a destra del Ticino alla diocesi di Vigevano.
Si omettono i periodi di sede vacante non superiori ai 2 anni o non storicamente accertati.
Un catalogo di vescovi pavesi, scoperto ex vetere libello ed inserito in un registro del capitolo della cattedrale dal canonico Alessio Beretta (XVI secolo), è ritenuto attendibile e derivante dagli antichi dittici. Così si esprime Lanzoni: «Si può ritenere che il catalogo dell'archivio capitolare di Pavia, benché non anteriore al XVI secolo, derivi da fonte antica e degna di fede… Del resto il catalogo viene largamente confermato dai documenti sincroni».[15]
^V. Lanzani, Dalle origini della città cristiana all'arrivo dei Longobardi, in "Storia Religiosa della Lombardia", vol. 11: "Diocesi di Pavia", Brescia, La Scuola, 1995, pp. 14-18.
^M.P. Billanovich, San Siro. Falsificazione, mito, storia, in «Italia medievale e umanistica», 29 (1986), pp. 1-54; A. M. Orselli, La città altomedievale e il suo santo patrono.(Ancora una volta) il campione pavese, in L'immaginario religioso della città medievale, Ravenna 1980, pp. 243-353. Secondo Francesco Lanzoni l'aver anticipato di tre secoli l'esistenza di san Siro costrinse autori locali ad inserire i nomi di una quindicina di vescovi fittizi per colmare il vuoto temporale venutosi a creare nel catalogo episcopale.
^F. Besostri, La città, il re, il vescovo, in «Cultura Religiosa e Scuola», Anno II, n, 3 (luglio-dicembre 2011), pp. 69-84.
^Testo della bolla in Cappelletti, op. cit., pp. 454-456.
^Testo della bolla in Cappelletti, op. cit., pp. 492-495.
^ Eleonora Destefanis e Paola Guglielmotti (a cura di), I territori diocesani di Piacenza e Bobbio (PDF), Diocesi di Bobbio: Formazione e sviluppi di un'istituzione millenaria, Firenze, Reti Medievali E-Book, 2015, p. 15, fig. 2. URL consultato il 25 maggio 2022 (archiviato dall'url originale il 23 febbraio 2022).
^ Mauro Bonato, San Profuturo di Pavia, su santiebeati.it. URL consultato il 20 aprile 2020.
^La cronologia è incerta; altre date proposte dagli storici sono il 467-497.
^Massimo è morto tra la fine del 513 (a novembre 513 Ennodio non era ancora vescovo) e agosto 515 (periodo in cui Ennodio è certamente attestato come vescovo di Pavia). Charles Pietri, Luce Pietri (ed.), Prosopographie chrétienne du Bas-Empire. 2. Prosopographie de l'Italie chrétienne (313-604), École française de Rome, vol. I, 1999, p. 626.
^Storicamente documentato nell'826. Fedele Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300. La Lombardia. Parte II. Vol. II: Cremona-Lodi-Mantova-Pavia, Bergamo, 1932, p. 387.
^Storicamente documentato nell'849, nell'861 e nell'863. Fedele Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300. La Lombardia. Parte II. Vol. II: Cremona-Lodi-Mantova-Pavia, Bergamo, 1932, p. 389.
^abcdefghijklmnopqrstFedele Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300. La Lombardia. Parte II. Vol. II: Cremona-Lodi-Mantova-Pavia, Bergamo, 1932, pp. 390 e seguenti.
^Documentato per la prima volta il 15 luglio 1132.
^Il 4 settembre 1443Bernardo Landriano, vescovo di Asti, fu eletto alla sede pavese, ma non accettò il trasferimento.
^Secondo Eubel si dimise il 4 settembre e gli succedette Ippolito.
^(ES) Rafael Lazcano, Episcopologio agustiniano, Guadarrama (Madrid), Ed. Augustiniana, 2014, vol. I, pp. 1046-1049.